Nick Cave in Italia, più di un concerto
Il racconto della prima data del tour italiano di Nick Cave & the Bad Seeds: un momento di performance art
Difficile raccapezzarsi dopo aver visto Nick Cave and The Bad Seeds alla Kioene Arena di Padova (sold out da almeno 6 mesi), in questo piovoso novembre 2017, prima data del breve tour italiano. Potrei raccontarvi di quanto bravi siano i Bad Seeds e di quanto belli siano gli arrangiamenti. Potremmo discutere sulla scelta della scaletta, che va da quasi tutto Skeleton Tree a molti capolavori del passato più o meno recente – “Tupelo”, “Higgs Boson Blues”, “Into My Arms”, “Jubilee Street”, per citare solo qualche titolo. Ma non è questo il punto.
Il punto è che siamo cascati dentro a una vero e proprio momento di performance art, in cui Cave non subisce le nuove tecnologie, ma le elegge a strumento supremo di comunicazione. Viene da pensare alle recenti polemiche sulla richiesta di utilizzo, da parte del suo staff, delle foto mandate dal pubblico, però qui sembra che ci sia un piano, di cui non conosciamo ancora i particolari. E il bello è che non si tratta solo di comunicazione visuale e verbale: quello che cambia le carte in tavola è l’abbattimento delle barriere fisiche tra artista e pubblico. Nick cerca le mani delle persone, le stringe, le sfiora, si fa toccare ("Can you feel my heart beat? Boom boom"). Afferra gli smartphone più vicini e ci gioca (tranquilli, poi li restituisce).
C’è qualcosa di molto punk in tutta questa fisicità, ma senza l’oltraggio e la violenza. C’è il sapore compiaciuto dell’idolatria verso le rockstar, ma lui lo fa diventare un bisogno intimo, personale. Ai bis, al culmine di un’epica versione di “The Weeping Song”, Re Inchiostro scende nel parterre e cammina tra la gente. Si fa strada verso una piccola pedana, una specie di pulpito da cui continua a tenere saldamente le fila dello show. E quando torna sul palco, si porta dietro tutti quelli che può: li tira su a braccia, ad uno ad uno. Così, i ruoli si confondono, chi guarda ora viene guardato e lui si diverte come un folle braccato da tutti i lati, mentre si sgola sulla mitica “Stagger Lee”. Ci lascia infine ripetendo all’infinito "Keep on pushing, push the sky away", e la sensazione che rimane è quella di aver condiviso un’esperienza artistica davvero unica.
«Some people say it’s just rock and roll / Ah but it gets you right down to your soul…».
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