Il nuovo [i]Parsifal[/i] che ha aperto l’edizione 2016 del Festival di Bayreuth, al di là dei risultati artistici, resterà nella memoria per la sequenza di rinunce e di polemiche che hanno ne accompagnato la gestazione. Prometteva di essere un [i]Parsifal[/i] corrosivo nelle mani del controverso artista Jonathan Meese, previsto inizialmente per la regia, e invece, dopo le ennesime furiose polemiche (il copione si ripete, anche in questo, da anni), si è optato per un solido professionista come Uwe Eric Laufenberg. E se anche la musica ha avuto la sua dose di polemiche con l’abbandono improvviso del direttore Andris Nelson, si è provveduto in fretta e furia a tamponare con l’incarico a un rassicurante rappresentante della migliore tradizione dei Kappelmeister di area germanofona come Hartmut Haenchen. Intendiamoci: non c’è niente di male a privilegiare l’alto artigianato allo scandalo. Anzi. Piuttosto lascia perplessi una politica degli annunci che sembra mascherare (e male) una visione dal fiato corto dell’attuale gestione artistica, quanto mai ondivaga nelle scelte fra velleità di innovazione e una confortante tradizione. Il rischio è che Bayreuth si trasformi in un rito senza senso, nonostante continui a essere ben frequentato.
Quest’anno, dunque, si è assistito a un [i]Parsifal[/i] solido nella concezione e positivo nel messaggio, non accolto da nessun fischio (che sono andati tutti alla prima ripresa del [i]Tristan[/i] della Wagner). Controversa solo sulla carta (la scena è una chiesa in un tormentato luogo del Medio Oriente fra militari, monaci e musulmani), in questa nuova produzione Laufenberg propone un messaggio pacificatore e laico nel fondo. I cavalieri del Gral guidati da un devastato Amfortas, identificato con la tradizionale e cruda iconografia cristologica, ripropongono stancamente un rito identitario svuotato ormai del suo senso religioso originario. Klingsor, il principio del male, è egli stesso simbolo di una religione ridotta a puro simbolo (il tappeto per la preghiera, la parete di crocifissi che si fanno arma). E Parsifal, il puro folle, non diventa l’interprete dei valori del Gral ma di una umanità ritrovata nei suoi valori fondamentali, una umanità che trova la forza di liberarsi dei propri simboli religiosi cristiani, ebrei e musulmani abbandonati nel sacello di Titurel, ridotto in polvere. Nel passaggio finale, la chiesa si smembra e lascia passare la luce che inonda la sala. Gli uomini si ritrovano finalmente uniti senza simboli. Messaggio rassicurante e positivo, tranne che per gli estremisti di ogni religione.
Un [i]Parsifal[/i] rassicurante anche sul piano musicale con la direzione di Haenchen che evita ogni eccesso e ogni artificio del mago Wagner per aderire, si direbbe, alla visione moderata del regista. Il suono dell’orchestra è bellissimo, come da tradizione, il canto non è mai sopraffatto e le ottime voci hanno il rilievo dovuto sulla scena del Festspielhaus. Straordinari soprattutto Georg Zeppenfeld, un Gurnemanz dagli accenti nobili e ispirati, e Elena Pankratova, una Kundry che sa essere seduttrice selvaggia e Maddalena remissiva con eguale convinzione. Di grande spessore anche la prova di Ryan McKinny, un Amfortas misurato e cupo come il suo timbro vocale. Nessuna sorpresa da Klaus Florian Vogt, un collaudato Parsifal puro e senza macchia come il timbro chiaro e asessuato della sua voce di tenore, e da Gerd Grochowski, un Klingsor sinistro e tormentato. Senza smagliature il resto del cast e splendida, come sempre, la prova del coro del Festival istruito anche in questa edizione da Eberhard Friedrich. Successo incondizionato per tutti.
Note: Nuova produzione del Festival di Bayreuth. Date rappresentazioni: 25 luglio, 2, 6, 15, 24, 28 agosto 2015.
Interpreti: Ryan McKinny (Amfortas), Karl-Heinz Lehner (Titurel), Georg Zeppenfeld (Gurnemanz),Klaus Florian Vogt (Parsifal), Gerd Grochowski (Klingsor), Elena Pankratova (Kundry), Tansel Akzeybek (1. Gralsritter), Timo Riihonen (2. Gralsritter), Alexandra Steiner (1. Knappe), Mareike Morr (2. Knappe), Charles Kim (3. Knappe), Stefan Heibach (4. Knappe), Anna Siminska, Katharina Persicke, Mareike Morr, Alexandra Steiner, Bele Kumberger, e Ingeborg Gillebo (Klingsors Zaubermädchen), Wiebke Lehmkuhl (Altsolo)
Regia: Uwe Eric Laufenberg
Scene: Gisbert Jäkel
Costumi: Jessica Karge
Orchestra: Das Festspielorchester
Direttore: Hartmut Haenchen
Coro: Der Festspielchor
Maestro Coro: Eberhard Friedrich
Luci: Reinhard Traub (video: Gérard Naziri)