Il Festival di Glyndebourne, è noto, si contorna di una tradizione e ritualità andate crescendo negli anni: il pellegrinaggio in smoking da London Victoria Station alla tenuta di campagna dispersa nell’East Sussex, il picnic sul prato, il lungo intervallo per la cena prima dell’ultimo atto. All’interno dello spazioso teatro si respira un’aria di famiglia, che si accentua quando gli eventi contingenti offrono nuove occasioni: ecco allora che alla recita dell’11 giugno tutto il pubblico si alza in piedi per intonare all’unisono, prima dell’opera, “God save the Queen” con voce stentorea e intonatissima in omaggio al compleanno della Regina, mentre sugli applausi finali il tenore si sbraccia per comunicare trionfante a gesti il risultato della partita di calcio Inghilterra-Russia (non potendo immaginare che all’ultimo minuto, in quello stesso istante, gli avversari avrebbero pareggiato).
Sul palcoscenico si celebravano le glorie dell’arte musicale tedesca, ma era chiaro come il pubblico inglese non faticasse a identificarsi in quelle architetture neogotiche esibite in scena e nei personaggi che le abitavano. Si riprendeva infatti lo splendido allestimento di David McVicar (2011), che trasporta la vicenda all’epoca del giovane Wagner: una vera regia, curata in ogni gesto, in ogni dettaglio, con ogni singolo maestro cantore caratterizzato in modo personale, dal nobile Pogner di Alastair Miles (perfetto attore anche quando relegato nell’angolo della scena) al buffonesco Beckmesser trasformato da Jochen Kupfer in un azzimato damerino (Giacomo Meyerbeer?) ancor più comico e impacciato che nell’allestimento di cinque anni fa. Michael Schade fatica come quasi tutti i tenori a sostenere la tessitura della canzone di Walther, ma nel complesso si è mostrato più in forma che non nella sua ultima apparizione italiana e il personaggio funziona egregiamente, così come si fa ben apprezzare Amanda Majeski che ci offre una Eva da soprano lirico, ragazza solida e senza bamboleggiamenti. Su tutti campeggia ancora una volta Gerald Finley il cui Hans Sachs ti strappa letteralmente il cuore nella sua straziante umanità, al punto che nemmeno più ti accorgi di quanto sia rifinito vocalmente.
A supportare un’esecuzione al limite della perfezione scenica e vocale, Michael Güttler sostituisce il direttore musicale del festival Robin Ticciati proponendoci una lettura orchestrale sempre leggera e frizzante, in linea con l’ironia che serpeggia in tante scene di questo allestimento. Impeccabili infine coro e orchestra. Ipersoddisfatto il pubblico, che poteva rientrare nella meschina realtà quotidiana col cuore arricchito d’ineffabile.
Note: Foto©Tristram Kenton
Interpreti: Gerald Finley (Hans Sachs), Michael Schade (Walther von Stolzing), Amanda Majeski (Eva), Jochen Kupfer (Sixtus Beckmesser), Alastair Miles (Veit Pogner), David Portillo (David), Hanna Hipp (Magdalene), Kunz Vogelgesang (Colin Judson), Andrew Slater (Konrad Nachtigall), Darren Jeffery (Fritz Kothner), Nicholas Folwell (Hermann Ortel), Alasdair Elliott (Balthasar Zorn), Daniel Norman (Augustin Moser)
Ulrich Eisslinger – Adrian Thompson
Hans Foltz – Henry Waddington
Hans Schwarz – Sion Goronwy
Night Watchman – Patrick Guetti
Regia: David McVicar
Scene: Vicki Mortimer
Coreografo: Andrew George
Orchestra: London Philarmonic Orchestra
Direttore: Michael Güttler
Coro: The Glyndebourne Chorus
Maestro Coro: Jeremy Bines
Luci: Paule Constable