Quest'edizione di Lucia di Lammermoor è un doveroso omaggio a Luca Ronconi. Inutile dire che non tutto può essere attribuito a lui, nonostante alcuni suoi collaboratori di vecchia data abbiano cercato di realizzarne nel modo più fedele possibile le idee. Ma sono certamente come lui li voleva le scene e i costumi, già pronti quando il regista è scomparso, pochi giorni prima dell'inizio delle prove. I costumi ottocenteschi sono tutti neri, ad eccezione di quello di Lucia, bianco: l'unica macchia di colore è il sangue che lo sporca nella scena della pazzia. La scena fissa, tranne lo spostamento di alcuni elementi, è invece totalmente bianca: un ambiente chiuso, con porte e grate di ferro che la qualificano come un luogo di detenzione, probabilmente un manicomio. Questa scena, molto sobria ed anche elegante, concentra l'attenzione sulla costrizione che l'ambiente maschile esercita su Lucia, debole, indifesa e toccata fin dall'inizio dai sintomi della follia, ma ha il difetto non trascurabile di eliminare totalmente il lato tenebroso e tempestoso dell'immaginario romantico. Questa scelta radicale è indubbiamente il segno che si tratta veramente di uno spettacolo di Ronconi. La direzione di Roberto Abbado ha la stessa sobrietà ed eleganza dello spettacolo, ma a differenza dello spettacolo non sacrifica nessun aspetto di quest'opera emblematica del romanticismo italiano, né il romanticismo misterioso e inquietante del sommesso rullo di timpani iniziale né il romanticismo tempestoso della scena della sfida nella torre. Una fonte di sorpresa e ammirazione continue è l'attenzione data dal direttore alla raffinata orchestrazione di Donizetti, di cui il recupero dell'armonica a vetri nella scena della follia è l'aspetto più macroscopico ma non certo l'unico. In un cast di livello complessivamente buono spiccano i due protagonisti. Jessica Pratt emoziona nei momenti più concitati e drammatici, ma il pubblico l'applaude soprattutto dopo l'ampia cadenza della scena della follia, eppure i suoi impeccabili virtuosismi appaiano meccanici, non "il cantar che nell'anima si sente", quale dovrebbe essere il bel canto. Stefano Secco, che ha stile e buona impostazione vocale, è un Edgardo propenso più agli scatti drammatici che alle estasi e ai languori romantici.
Note: Nuovo allestimento
Interpreti: Jessica Pratt/Maria Grazia Schiavo, Stefano Secco/José Bros, Marco Caria, Carlo Cigni, Alessandro Liberatore, Andrea Giovannini, Simge Büyükedes
Regia: Ugo Tessitore (da un progetto di Luca Ronconi)
Scene: Margherita Palli
Costumi: Gabriele Mayer
Orchestra: Orchestra del Teatro dell'Opera di Roma
Direttore: Roberto Abbado
Coro: Coro del Teatro dell'Opera di Roma
Maestro Coro: Roberto Gabbiani
Luci: Gianni Mantovanini