Surreale tranquillità all'Opera per il primo spettacolo dopo la lettera di licenziamento collettivo inviata a coro e orchestra. Fuori un paio di persone distribuiscono timidamente volantini con le parole di solidarietà di Accardo, Bartoli, Pappano, Ughi, Berliner Philharmoniker e altri ancora. Dentro solo qualche frequentatore più appassionato discute di quel che è successo, gli altri se ne disinteressano, forse perfino lo ignorano. Prima del secondo atto Renato Palumbo prende la parola per ringraziare orchestra e coro per la loro disponibilità e collaborazione in questo momento per loro così difficile e per il loro amore per la musica: le sue parole sollevano applausi scroscianti, ma non un uragano di applausi, forse perché poco prima il direttore era stato accolto da fischi quand'era salito sul podio. Come spesso accade il motivo di questi fischi era imperscrutabile: la direzione d'orchestra era infatti l'aspetto migliore di questo Rigoletto. Ogni numero della partitura veniva attaccato da Palumbo con tempi, accenti e colori che esaltavano il fuoco dell'invenzione verdiana, ma senza cadere nella foga incontrollata, anzi con classe e à plomb. Era soprattutto nei momenti al calor bianco che il direttore si trovava a suo agio, ma non solo in quelli: per esempio, è raro sentire così ben individuati i colori modernissimi della scena notturna tra Gilda e Rigoletto all'inizio del terzo atto. Semmai alla direzione si può imputare di non riuscire sempre, a causa di una certa mancanza di sfumature, a mantenere per tutto il pezzo la temperatura iniziale. Il cast vocale era di quelli che in un grande teatro di repertorio come Vienna avrebbe funzionato benissimo, ma noi in Italia vorremmo sempre qualcosa di speciale, anche da un teatro sull'orlo dell'abisso. Giovanni Meoni non ha una voce straordinaria e forse Rigoletto è troppo drammatico per lui. Ma, se non travolge, convince per la sua impostazione vocale di buona scuola antica, per lo stile, per l'interpretazione misurata ma intensa, senza scivoloni veristici: tutto questo gli consente di eccellere anche in pagine come Cortigiani, vil razza dannata, che sembrerebbe al di là delle sue possibilità naturali. Piero Pretti è un eccellente Duca. La voce di Ekaterina Sadovnikova sembra giungere da lontano sbiadita e velata, ma qualche acuto le procura grandi applausi dopo Caro nome. Leo Muscato aveva preannunciato una regia espressionista, invece abbiamo avuto uno spettacolo povero di idee che si svolgeva dentro un parallelepipedo vuoto, in cui trovavano posto arredi di pessimo gusto, che probabilmente volevano alludere all'arrogante volgarità del duca e della sua corte.
Note: Nuovo allestimento
Interpreti: Ekaterina Sadovnikova/Claudia Boyle (Gilda), Alisa Kolosova (Maddalena), Giovanni Meoni/Francesco Landolfi/Stefano Antonucci (Rigoletto), Piero Pretti/Gianluca Terranova (Duca di Mantova), Goran Juric/Mikhail Korobeynikov (Sparafucile), Maria Torbidoni (Giovanna), Italo Proferisce (Monterone), Marco Camastra (Marullo), Pietro Picone (Borsa)
Regia: Leo Muscato
Scene: Federica Parolini
Costumi: Silvia Aymonino
Orchestra: Orchestra del Teatro dell'Opera di Roma
Direttore: Renato Palumbo
Coro: Coro del Teatro dell'Opera di Roma
Maestro Coro: Roberto Gabbiani
Luci: Alessandro Verazzi