Un Tell claustrofobico

A Pesaro l'ultimo capolavoro di Rossini firmato Vick e Mariotti

Recensione
classica
Rossini Opera Festival Pesaro
Gioachino Rossini
20 Agosto 2013
Il Tell di Vick si svolge interamente in una sala bianca, squadrata, nuda, claustrofobica. Eliminato così il “superfluo”, l’attenzione si concentra sulla vicenda – tragicamente sempre attuale: Vick la colloca nel primo Novecento - di oppressione e di insopprimibile anelito della libertà. Sottoposti a brutalità e violenze dai risvolti perfino sadici - alla Salò-Sade di Pasolini - gli svizzeri sono terrorizzati e annientati e il loro riflesso condizionato davanti a Gessler e ai suoi è mettersi carponi a lavare il pavimento. La loro rivolta non avrà nulla di ideologico e neanche di ideale ma sarà l’esplosione di una forza primordiale troppo a lungo repressa, di un istinto insopprimibile alla libertà, necessaria alla vita come l'aria stessa. I momenti cruciali di questo percorso sono le danze del primo e del terzo atto, che vengono così liberate dalla loro funzione di divertissement decorativo. L’importanza assunta da queste pagine marginali è d’altra parte il sintomo che nella regia non tutto funziona e che, accanto a momenti di grande forza teatrale, ce ne sono altri irrisolti. Vick afferma, a ragione, che nella sua regia nulla è gratuito e che tutto è motivato da un’attenta lettura di testo e musica, ma gli si può obiettare che nel testo e nella musica ci sarebbero anche molte altre cose, che egli preferisce ignorare. Una per tutte: la natura, che nel Tell non è “couleur locale” ma simbolo di vita e irrompe impetuosamente come vera protagonista nelle scene culminanti. Vick scrive a caratteri cubitali "ex terra omnia" ma poi mostra la terra elvetica solo in proiezioni su grandi finestre-schermo, lontana e appiattita. Sono però innegabili l’acutezza della lettura di Vick, la perfezione della direzione di solisti e masse, la forza teatrale talvolta cruda (qualche spettatore ha reagito con irritazione) e talvolta sublime ed emozionante. Michele Mariotti ha guidato orchestra e coro bolognesi a una prestazione maiuscola e ha dominato totalmente la monumentale e complessa partitura, cogliendone l’enorme varietà di soluzioni formali e di colori orchestrali ed illuminandone le virtù profetiche, proprio perché ha evitato di farne una generica anticipazione di corruschi e irruenti modi verdiani. Juan-Diego Florez, al debutto come Arnold, ha superato con stile e sicurezza gli scogli di cui è disseminata la terribile parte. Marina Rebeka è stata irreprensibile vocalmente – a parte qualche acuto un po’ duro – e ancora più apprezzabile per l’intensità drammatica data a Mathilde. Tutto il cast era di ottimo livello ma va sottolineato lo straordinario gruppo di voci gravi: naturalmente Nicola Alaimo, che era Gullaume, e poi Simon Orfila, Luca Tittoto e Simone Alberghini.

Note: Nuova coproduzione con la Fondazione Teatro Regio di Torino

Interpreti: Marina Rebeka, Veronica Simeoni, Amanda Forsythe, Nicola Alaimo, Juan Diego Florez, Simon Orfila, Simone Alberghini, Luca Tittoto, Alessandro Luciano, Celso Abelo, Wojtek Gierlach

Regia: Graham Vick

Scene: Paul Brown

Costumi: Paul Brown

Coreografo: Ron Howell

Orchestra: Orchestra del Teatro Comnale di Bologna

Direttore: Michele Mariotti

Coro: Coro del del Teatro Comnale di Bologna

Maestro Coro: Andrea Faidutti

Luci: Giuseppe Di Iorio

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