Curlew River è la prima "parabola da chiesa" di Britten ma, mentre le altre due hanno argomenti biblici, questa non ha nulla di sacro ed è tratta dal teatro nô giapponese, come aveva già fatto Brecht anni prima. Quella di Britten è effettivamente un'elaborazione personale del teatro epico di Brecht, di cui prende alcuni principi, superandone d'altra parte l'oggettivismo razionale attraverso l'utilizzo di alcuni elementi rituali sia del teatro nô (le maschere sul volto) che della liturgia cristiana (gli interpreti compiono la loro vestizione davanti al pubblico, una processione al canto collettivo di un inno gregoriano accompagna la loro entrata e uscita in chiesa, nel momento culminante della vicenda risuona un altro canto cristiano), che sollecitano una reazione emotiva dello spettatore, agendo a livello subliminale.
La regia di Mario Martone sembra propendere per un approccio che sottolinei il lato brechtiano di questo dramma, come lasciano intendere i costumi del 1950 circa e l'eliminazione degli aspetti rituali. Come sempre nei suoi spettacoli, l'elemento decisivo è il lavoro sull'attore, particolarmente sull'interprete della Madwoman, la madre diventata pazza per la perdita del figlio, personaggio scritto da Britten sulla misura dei talenti di cantante e attore del suo compagno di vita, il grande tenore Peter Pears. A Roma la interpreta Benjamin Hulett, di cui non sapremmo nemmeno dire se canta e recita bene oppure no (ma sì, diciamolo: canta e recita molto bene), perché tiene in suo potere lo spettatore dal momento in cui entra in scena con i capelli arruffati e i vestiti laceri di una barbona, lo sguardo da pazza, il sorriso ebete, spingendo furiosamente un carrello da supermercato carico dei miseri oggetti che costituiscono tutti i suoi beni. Martone ha dunque attenuato la spiritualità ascetica di questa parabola da chiesa, ma in compenso le ha dato momenti di grande forza teatrale. È un vero peccato che da molti posti la visibilità fosse ridotta.
Bene gli altri interpreti e ottima come sempre la direzione di James Conlon. Dei sette strumentisti si devono citare almeno i due più impegnati come solisti, Matteo Evangelisti (flauto) e Agostino Accardi (corno).
Interpreti: Benjamin Hulett (The Madwoman), Anthony Michaels-Moore (The Ferryman), Philip Addis (The Traveller) Derek Welton (The Abbot), Marta Pacifici/Filippo Chierici (The Spirit of the Boy)
Regia: Mario Martone
Scene: Mario Martone
Costumi: Ursula Patzak
Orchestra: Orchestra del Teatro dell'Opera di Roma
Direttore: James Conlon
Coro: Coro del Teatro dell'Opera di Roma
Maestro Coro: Roberto Gabbiani
Luci: Pasquale Mari
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