Jazz impalpabile ed autunnale
Una serata con la sottile voce di Stacey Kent
Recensione
jazz
Il format del Blue Note - locale presente a New York, Tokyo, Nagoya e Milano - prevede la possibilità di cenare ascoltando musica dal vivo. Il 21 settembre scorso, durante il concerto di Stacey Kent, una larga parte della audience dopo un paio di forchettate ha completamente dimenticato di avere del cibo nei piatti (e non perché fosse poco appetitoso: tutt’altro), rapito dai vibranti, sinuosi fraseggi vocali della vocalist americana domiciliata in Europa, nel cui stile pulsano echi e rimandi al lavoro di Billie Holiday, Blossom Dearie e, in porzione minore, Ella Fitzgerald. C’è magia nelle modalità interpretative ed esecutive di Stacey, che con una pettinatura alla maschietta e degli abiti sobri incarna la leggerezza di Julia Andrews, l’eleganza di Audrey Hepburn e, per avvicinarci ai giorni nostri, la limpidezza di Emma Watson. I brani eseguiti hanno il sapore di certi tepori autunnali, sanno di foglie che cambiano colore e di tramonti in cui perdersi con lo sguardo. Acquarelli sonori, toccanti eppure inafferrabili. Tra le canzoni che hanno dato forma al concerto ci sono stati pezzi di Carlos Jobim (“Corcovado”, “Dreamer”), Irving Berlin (“That’s Say It’s Wonderful”) e una strepitosa versione di “What a Wonderful World”. Musica in punta di piedi, assecondata da una band impeccabile, sempre attenta a non caricare i toni o i volumi: un atteggiamento rispettoso, certo un lavoro di autocontrollo che, tuttavia, appiattisce ovvero normalizza anziché restituire vitalità. Fa eccezione “Samba Saravah” di Pierre Barouh, che rinvigorisce e stimola gli strumentisti.
Piccole gag: Stacey spiega (in inglese) di aver studiato a lungo la lingua italiana; poi confessa che il meglio che riesce a dire - con perfetto accento - è: “Ci vuole tanto tempo per andare all’aeroporto?”.
Interpreti: Stacey Kent (voce, chitarra), Jim Tomlinson (sassofono), Graham Harvey (pianoforte), Jeremy Brown (contrabbasso), Matt Skelton (batteria)
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