Nicola Sani aveva lasciato come eredità della sua breve direzione artistica la regia di Carsen, ma il suo successore l'ha sostituita - nell'ambito del rilancio del teatro ai massimi livelli internazionali promesso dal commissario straordinario Alemanno - con una nuova produzione di Filippo Crivelli, al suo primo Wagner. Non si può dire che abbia fatto gravi errori, perché - dopo i suggestivi video dell'ouverture - non ha fatto praticamente nulla durante quasi quattro ore, rispettando esteriormente ma in realtà ignorando significati e valori di questa "grande opera romantica". Il meglio erano alcuni quadri statici, che almeno non causavano danni, altrimenti le masse sfilavano come messeri e madonne da festa paesana in costume e i protagonisti erano lasciati a un'autogestione imbarazzata e imbarazzante. Faceva eccezione Martina Serafin, la cui dolorosa nobiltà di gesti appresa chissà dove s'abbinava a un'interpretazione intensa ed emozionante. La recitazione greve di Mathias Goerne era invece in assurdo contrasto col suo Wolfram cantato con aristocratico stile da liederista. Qualche lieve incrinatura nella voce - quale tenore wagneriano non ne ha dopo qualche anno di carriera? - non impedisce a Stig Andersen d'essere un più che valido Tannhäuser, in continua crescita fino a un racconto del viaggio a Roma esemplare per insolita delicatezza di sfumature espressive. Molto bene Béatrice Uria-Monzon e Christof Fischesser. Daniel Kawka dà una bella lettura oggettiva e analitica - però questo dovrebbe escludere i vistosi e reiterati scompensi della scena del giudizio - ma nel terzo atto si emoziona anche lui e crea una poetica, meravigliosa atmosfera di malinconica attesa, desolata stanchezza e infinita solitudine.
Jonas di Carissimi e Vanitas di cinque compositori contemporanei hanno chiuso le celebrazioni per i trecentocinquanta anni dalla morte del grande maestro del Seicento