Il "vecchio" Lou nella "patria" della Anderson
Pubblico entusiasta per "Homeland", nuovo spettacolo di Laurie Anderson. Ospite Lou Reed.
Recensione
pop
Il nuovo spettacolo presentato da Laurie Anderson ieri sera al Valli di Reggio Emilia rappresentava una sorta di libera e articolata riflessione centrata sul clima sociale maturato negli ultimi anni negli Stati Uniti, distillato attraverso quella particolare sensibilità propria di una artista che vive a New York. "Homeland", questo il titolo della performance, viene qui inteso per stessa ammissione della musicista non solo nell'accezione di "patria" ma soprattutto come qualcosa che attiene alla sicurezza e che trasmette timore e paranoia. Minimale l'impianto dello spettacolo: un palcoscenico pulito – candele a terra, qualche lampadina calata dall'alto, un grande telo alle spalle illuminato e colorato con sapienza grazie a un accurato uso delle luci – la Anderson al centro e ai lati i due musicisti – Peter Scherer alle tastiere e Skuli Sverrisson al basso – che la accompagnavano. Minimalista, almeno nell'ideale ascendenza stilistica e per l'impianto costruttivo di alcuni passi, il carattere dei brani che componevano il canovaccio di un percorso il quale, partendo dal tema della memoria al centro del delicato brano “The Lark” – ideale rimando a "Gli uccelli" di Aristofane – passava in rassegna i difetti di una America ormai post Bush: guerra in Iraq giustificata da armi inesistenti, disastrosa speculazione finanziaria, indifferenza nei confronti dei problemi ambientali, e così via. In questo panorama – pur con un filo di speranza offerto dall'elezione di Obama – la musica della Anderson si muoveva tra sintetici tappeti di tastiere, microfoni a contatto su occhiali gialli per suonarsi letteralmente la testa, e intensi interventi del violino. Un Lou Reed ospite un poco spaesato ha calato il suo simbolico graffio rock sulla "patria" della moglie.
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