Il volo sonoro dei Sigur Ros
La band islandese apre le ali sul Giardino di Boboli: ma è magia soltanto a metà.
Recensione
pop
La crisalide si è schiusa. I Sigur Ros, che fino a l’altro ieri hanno evocato, da oggi possono permettersi di incantare. Il Giardino di Boboli di Firenze è strapieno, il sold out annunciato da un mese dimostra che la band ha molti discepoli. La mutazione, da gruppo di “nicchia” a vera e propria realtà della scena musicale internazionale, è compiuta. Ore 21.47. L’inizio del concerto è delicato e avvolgente. La musica sale mentre l’atmosfera è resa ulteriormente serena dal pubblico, ordinato su platea e gradinate. I primi brani sono quelli di "( )" e "Takk", a tratteggiare, come nei due dischi–capolavoro, paesaggi sonori nei quali il falsetto di Jònsi può levitare liberamente. Sul palco i Sigur Ros sono vestiti come in una recita. Il batterista indossa una coroncina da re, il cantante è al centro con una giacchetta da cow boy, le biondissime violiniste suonano dentro improbabili abiti turchesi, mentre dall’alto penzolano sfere luminose di grandi dimensioni. Le luci fanno il resto. E quando nel bel mezzo del brano "Se lest", entrano sulla scena gli ottoni, con tanto di vestito bianco e bombetta, la musica si arricchisce ulteriormente di suoni bandistici. Tutto come da copione. Lo spettacolo però dopo circa un’ora fatica un po’, e la scelta di inserire di seguito molti brani introspettivi e crepuscolari ne rende piatto lo sviluppo, turbato anche dal suono ovattato della batteria. Si arriva così al gran finale, con tanto di trovate sceniche d’effetto, senza che il concerto riesca effettivamente a esplodere. E se i brani dell’ultimo "Með Suð Í Eyrum Við Spilum Endalaust" avevano dimostrato che qualcosa nelle forme espressive dei Sigur Ros è notevolmente cambiato, dal vivo questo mutamento si avverte solo a tratti. Il live memorabile è rimandato.
Interpreti: Sigur Ros
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