A quasi cinquant'anni dalla prima esecuzione, la Maria Golovin di Gian Carlo Menotti rivela aspetti insospettabilmente moderni, per l'acuta e sensibile narrazione dell'amore d'un cieco per una donna, condotta con pudore e discrezione, senza sentimentalismo e effetti melodrammatici.
Si considerava la Maria Golovin solo un doveroso omaggio alla memoria del fondatore del festival, ma ci si è trovati davanti a un'opera ben più vitale e interessante di quanto ci si aspettasse. Il tempo ha infatti attenuato il disagio per il tradizionalismo ad oltranza del linguaggio di Menotti, mentre ora emerge una tematica più sottile e moderna, che prima era rimasta un po' nascosta sotto una superficie tardoverista e sentimentaleggiante. Che Donato sia cieco non è affatto un facile espediente strappalacrime, perché la sua menomazione è la causa (o piuttosto il simbolo) di una condizione esistenziale d'ipersensibilità e di fragilità che rende il suo rapporto con Maria molto diverso da una banale storia d'amore e gelosia. Questa vicenda - dal primo incontro, così naturale, fino allo scioglimento, invece un po' forzato - è narrata da Menotti con mezzi semplici ma con acume e sensibilità: evidentemente una storia così intima e segreta gli ha suggerito di evitare gli sfoghi sentimentali e il melodizzare postpucciniano e di attenersi a una discrezione e a un pudore di cui gli siamo grati.
Indubbiamente hanno concorso a spogliare quest'opera dai suoi aspetti più caduchi la scenografia essenziale, quasi astratta, di Vincent Lemaire e la regia di Vincent Boussard, che focalizzava l'attenzione sul dramma interore di Donato e trasformava anche gli episodi bozzettistici in eventi simbolici che davano ulteriori risonanze alla vicenda. Spartani, nonostante la firma lussuosa di Christian Lacroix, i costumi in stile anni Quaranta. Nuccia Focile era semplicemente perfetta come Maria Golovin e molto brave anche Eugenie Grunewald (la madre) e Sophie Pondjiclis (Agata). Ma nessuno offriva un'identificazione così totale e coinvolgente col suo personaggio come Paulo Szot, assolutamente straordinario come Donato. Limpida e accurata la direzione di David Charles Abell, che era sulla stessa linea di alleggerimento dei residui tardoveristi e postpucciniani che improntava tutta la produzione.
Interpreti: Nuccia Focile, Eugenie Grunewald, Paulo Szot, Sophie Pondjiclis, Jacques Lemaire, Chris Pedro Trakas, Louis Lemaire
Regia: Vincent Boussard
Scene: Vincent Lemaire; Ideazione luci, Alain Poisson
Costumi: Christian Lacroix
Orchestra: Spoleto Festival Orchestra
Direttore: David Charles Abell
Coro: Spoleto Festival Coro
Maestro Coro: Donald Nally
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