Il Kronos Quartet al Parco della Musica come Jimi Hendrix a Woodstock.
La formazione specializzata nel repertorio contemporaneo e sperimentale si esibisce con un vario e avvincente programma, tra effetti speciali di luce e di amplificazione.
Recensione
classica
Stanno cadendo gli ultimi confini tra i vari generi di musica? La risposta non potrebbe che essere positiva se si prendesse come punto di riferimento il concerto di ieri sera, nella Sala Sinopoli del Parco della Musica: si dirà che il Kronos Quartet non è nuovo a sperimentazioni e contaminazioni, ma la formazione che ha fatto della libertà e varietà di espressione la propria caratteristica più saliente, ha dato vita a uno spettacolo che non aveva davvero molto da invidiare alle performances dei maggiori esponenti del rock internazionale. A trent'anni dalla sua fondazione, il gruppo sembra voler andare ben oltre quel repertorio contemporaneo, ancorchè sperimentale, che lo ha portato a successi di pubblico e di critica. Giochi di luce e amplficazione sonora acquistano un ruolo significativo, ancorchè sempre unitamente a una bravura e prontezza tecnica e a una sensibilità musicale di primissimo ordine. E così i magnifici David Harrington, John Sehrba, Hank Dutt e Jennifer Culp hanno offerto al folto pubblico romano oltre novanta avvincenti minuti di musica della più varia provenienza: i ritmi sudamericani dei brani di Severiano Briseño e Agustín Lara; gli echi della cultura musulmana in Evic Taksin del turco Tamuri Cemil Bey, con la calda e sensuale voce della viola di Dutt che si scioglieva in un canto lontano e nostalgico; gli accenti tzigani di Aleksandra Vrebalov o le atmosfere da ambient music nel Flugufrlsarinn di Sigur Rós, e tanto, immancabile, minimalismo e post minimalismo. Tra varie basi ritmiche, parti preregistrate - come nell'eccezionale Triple Quartet di Steve Reich - e riverberi spaziali, il momento top della serata è stato probabilmente quando Harrington - che peraltro era vestito come un novello Mike Jagger - e i suoi amici hanno rievocato Woodstock, distorcendo il suono dei loro strumenti in modo da ricordare Jimi Hendrix. Signori, ecco il violino elettrico! Ammaliato dalle variazioni di colore delle luci a scandire la amosfere espressive, o dall'improvviso buio che lasciava in evidenza solo i profili dei musicisti, il pubblico ha decretato un successo che cresceva con il procedere del programma. Forse però questo improvviso apprezzamento della musica contemporanea lascia spazio a qualche sospetto: se al posto di tanta scena, indiscutibilmente d'effetto, ci fosse stata qualche composizione di Schnittke o di Cage, se le luci fossero rimaste invariate durante lo spettacolo, la gente si sarebbe sentita coinvolta emotivamente nella stessa misura?
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