Arriva Falstaff
Un Falstaff agile ed energico diretto da Enrique Mazzola apre la ventisettesima edizione del Cantiere Internazionale d'Arte di Montepulciano. Regia piacevole, due veterani come Romero e la Serra in un cast prevalentemente giovane.
Recensione
classica
Falstaff al Cantiere di Montepulciano: sembrava una sfida temeraria, quella del direttore artistico Enrique Mazzola, che era anche sul podio di questa produzione che apriva la ventisettesima edizione del festival toscano fondato da Hans Werner Henze. Un festival caratterizzato nella sua storia da un taglio giovanile, sperimentale e laboratoriale che ha visto definirsi nel tempo ben altre vocazioni: il Settecento, il Novecento (comprese alcune prime di Henze fra cui ricordiamo almeno Pollicino), le riletture e le riscoperte. Eppure la scommessa con Verdi ha avuto esito sostanzialmente positivo. Le piccole dimensioni del delizioso Teatro Poliziano, le attitudini esecutive della giovane orchestra inglese del Royal Northern College of Music di Manchester, dotata in particolare di una fila di violini di indubbia efficienza: tutto questo sembra suggerire a Mazzola un Falstaff chiaro, agile, settecentesco, ma anche piuttosto energico e ben innervato ritmicamente. Certo, i colori, soprattutto nel magico notturno conclusivo, non sono sempre quelli ideali e Mazzola, forse timoroso di chiedere troppo, di rado concede qualche distensione al respiro e alla narrazione. Un poco della malinconica ironia della partitura verdiana si perde, in compenso la direzione si sposa con coerenza all'impostazione della messinscena guidata con mano registica sicura da Dieter Kaegi. Le scene e i costumi vagamente anni Cinquanta di Stephanie Pasterkamp propongono un luogo unico con la quercia del bosco al centro, il bancone di pub che simula l'Osteria della Giarrettiera a sinistra, lo spazio di Falstaff a destra: sarebbe facile creare confusione, ma Kaegi disegna con abilità e brio proprio le scene più difficili e affollate, soprattutto l'animatissima sarabanda di equivoci che chiude il secondo atto, molto carina, e come tocco personale inventa un Verdi con tanto di barba, cilindro e palandrana (Berto Bee) che si intrufola ogni tanto tra i suoi personaggi (sotto il suo sguardo benevolo Fenton legge dallo spartito "Dal labbro il canto estasiato vola"). Nel cast puntigliosamente preparato si distinguevano due veterani, un vecchio leone della scena canora come Angelo Romero, Sir John forse un po' consunto ma sapiente ed efficace fin dalla famosa tirata circa il concetto di Onore, Luciana Serra, Alice disegnata con il tratto belcantistico proprio di questa cantante, e molto ci è piaciuto per attenta delineazione del personaggio il Ford di Sam McElroy e anche il gentile Fenton di Anthony Kearns. Impossibile non citare l'esuberante Bardolfo di Enrico Stinchelli (proprio lui, il celeberrimo conduttore radiofonico della "Barcaccia"), gli altri erano Roberto Covatta (Cajus), Davide Malvestio (Pistola), Fiorella di Luca (Nannetta), Sonia Lee (Quickly), Maria Vittoria Primavera (Meg). Successo netto.
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