La clochette di Duni e Il Campanello di Donizetti hanno chiuso la stagione lirica invernale del Regio di Parma. Alla prova del palcoscenico la prima ha rivelato tutti i limiti di uno stile musicale senza particolare mordente, ricalcando gli stilemi tipici di certa tradizione "comica" del Settecento. Infelice la scelta di tradurre in italiano i dialoghi parlati: si voleva facilitare la comprensione ma i cantanti impegnati cantavano non benissimo in francese (specie Giannino) e recitavano peggio in italiano (D'aragnès e Beltran Gil). Più piacevole il Campanello di Donizetti con Trimarchi e Romero che hanno risollevato un poco il livello. Di sfondo (nel vero senso della parola) la regia, le scene e i costumi. Direzione musicale all'insegna di una quasi scientifica sfasatura ritmica tra palcoscenico e buca.
A Parma il Teatro Regio chiude il suo cartellone lirico invernale con la proposta di due atti unici, "La clochette" - commedia in versi con ariette - di Egidio Romualdo Duni, e la farsa "Il campanello" di Gaetano Donizetti. Vale a dire in sostanza lo stesso titolo per due operine affatto differenti. Andata in scena a Parigi per la prima volta nel 1766, la commedia di Duni - compositore che ha trovato fortuna nell'atmosfera francesizzante del ducato di Parma di Filippo di Borbone, per poi dirigere la Comédie Italienne nella capitale francese - si rivela un lavoro che porta in sé gli stilemi di certa tradizione d'oltralpe, senza celare alcuni rari momenti di misurata eleganza compositiva. Dal canto suo "Il campanello" di Donizetti rivela a pieno i settant'anni che lo separano dal precedente, rendendo omaggio al magistero rossiniano. La scelta del regista Riccardo Canessa ha optato per un dichiarato "teatro nel teatro" con una scena unica che ricrea le tre pareti dipinte di un palcoscenico incastonato nel palcoscenico reale. Pannelli girevoli portano dipinte le scene di Poppi Ranchetti (che cura anche i tradizionali costumi) raffiguranti da un lato gli scaffali di una bottega da speziale per l'opera donizettiana e una bucolica campagna con tanto castello in lontananza per il primo atto unico, che ritorna alla fine de "Il campanello" quale ideale chiusura visiva del filo conduttore - a dire il vero molto sottile - che unisce i due lavori. Tre i personaggi del "La clochette": la pastorella Colinette, amata dal giovane e spiantato Colin e dal vecchio Nicodemo, tipico gretto "parvenu" borghese. La scelta di tradurre le parti parlate in italiano è stata suggerita dalla volontà di rendere più comprensibile il tutto, ma il risultato è stato quello di creare un "pastiche" linguistico che si affiancava a quello stilistico musicale rintracciabile nella partitura di Duni. Dei tre interpreti, Maria D'aragnès e Manuel Beltran Gil li abbiamo ritrovati nel successivo "Campanello" mentre Emanuele Giannino ha limitato la sua partecipazione impersonando il vecchio fattore Nicodemo. Decisamente più efficace la resa scenica dell'opera di Donizetti, dove il carattere della farsa procedeva su sicuri seppur tradizionali binari teatrali, raccontando degli scherzi orditi da Enrico (Domenico Trimarchi) a Don Annibale Pistacchio (Angelo Romero) speziale di Napoli che, novello sposo di Serafina, non riesce a consumare la sua prima notte di nozze. A serata conclusa, rimane qualche perplessità circa una conduzione musicale gestita da Stefano Rabaglia attraverso una lettura in linea con il carattere brillante delle due brevi partiture, ma che non mostrava un controllo uniforme e organico nei tempi e dinamiche tra orchestra e palcoscenico. Tra le voci, sostanzialmente piacevoli le caratterizzazioni di Trimarchi e Romero. Gli applausi alla fine sono stati calorosi da parte di un pubblico che non esauriva il teatro.
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