Un brutto Rigoletto quello andato in scena al Malibran, e all'insuccesso hanno contribuito tutte le componenti dello spettacolo, a partire dall'interpretazione scenografico - registica. Braunschweig ha voluto vedere nella dialettica vita - morte il leitmotiv che percorre l'intera opera: "Gilda sepolta viva sotto l'amore eccessivo del padre, asfissiante nella sua purezza, trova nel desiderio distruttore del Duca la sua libertà, l'accesso alla vita vera, ma anche alla vera morte" (così scrive lo stesso regista nel programma di sala). La chiave di lettura proposta può essere stimolante, ma la sua realizzazione è stata tanto banale quanto ridicola: dodici bare nere su sfondo rosso contengono dodici fanciulle riportate alla vita da altrettanti cavalieri, questa l'apertura di spettacolo. E uno o più feretri costituiscono sostanzialmente l'unico arredo di uno spazio articolato solamente dalla rotazione delle quinte rosse. Superato l'impatto iniziale (l'impressione è stata effettivamente sinistra), di queste bare lo spettatore non sa proprio che farsene, anche perché male si adeguano a scene più lievi e sentimentali. Ma è poi utile ai fini della comprensione di quest'opera spingersi così in là nella simbolizzazione? La musica di Verdi è talmente ricca che ha già in sé tutte le risposte. Ritornando alle cause dell'insuccesso di questa sera, altro fattore scatenante è stato il cast assolutamente inadeguato per reggere la scrittura vocale verdiana: il tenore Fernando Portari nei panni del Duca di Mantova ha fin dall'inizio mostrato gravi difficoltà tecniche, un timbro sporco, poca potenza e agilità, faceva indubbiamente fatica a scalare gli acuti, e la stecca ne "La donna è mobile" è stata una "morte annunciata"; si è difeso con più dignità Antonio Salvadori, ma la sua interpretazione monocorde non ha reso giustizia a Rigoletto così carico di luci e ombre, anche in questo caso comunque le difficoltà tecniche hanno posto seri ostacoli; unica nota positiva la soprano Cinzia Forte (Gilda) che ha invece saputo dominare l'ardua scrittura con cui è disegnato il suo personaggio, precisa nella scansione ritmica e appassionata nell'intepretazione; piuttosto opache le voci comprimarie. Angelo Campori infine non ha saputo concertare il tutto: la partitura di Verdi si caratterizza infatti per una ritmica molto vivace con continui incastri tra le voci, e tra voci e coro; si è spesso udito un grave scollamento tra le parti. Il pubblico ha fischiato infastidito.
Note: nuovo all. in coproduzione con il Théâtre Royal de la Monnaie di Bruxelles
Interpreti: Portari, Salvadori, Forte, Aliev, Tirendi
Regia: Stéphane Braunschweig
Scene: Stéphane Braunschweig
Costumi: Thibault Vancraenenbroeck
Coreografo: Barbara Manzetti
Orchestra: Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore: Angelo Campori
Coro: Coro del Teatro La Fenice
Maestro Coro: Giovanni Andreoli