Madrid e i concerti on line
Caos per una spettatrice che riprende il concerto
Ma prima di parlare della musica, merita spendere qualche parola su un incidente che nella replica di domenica mattina ha fatto interrompere il concerto. Si era sul finire dell’esposizione del primo movimento di Beethoven, quando il solista improvvisamente ha smesso di suonare e ha preso ad apostrofare in malo modo una signora delle prime file colpevole di filmarlo o fotografarlo con il suo telefono. Il peggio è arrivato quando una parte del pubblico, resasi conto di quello che succedeva, ha iniziato a linciare verbalmente la malcapitata al grido di «Fuera!», dimenticandosi così non solo dell’episodio di Gesù e l’adultera, ma anche di quanto prevede il regolamento di sala, per cui fotografare e registrare non è vietato, a patto che lo si faccia senza flash. Non solo, bisognerebbe aggiungere anche che il gesto della povera signora immedesimatasi reporter è il frutto di un messaggio che più o meno esplicitamente i direttori artistici e i responsabili della comunicazione delle istituzioni musicali istillano nel pubblico, inondando la rete con filmatini e spingendo gli ascoltatori a documentare e condividere su internet qualunque cosa avvenga in un teatro, insomma a far pubblicità anche loro. L’incidente merita di essere raccontato quindi solo perché mette in luce la difficile situazione in cui si trova la musica oggi, costretta a farsi spettacolo per non sparire dai riflettori, ma al tempo stesso condannata a perdersi, perché – non lo si ricorderà mai abbastanza – la comunicazione attraverso immagini e quella attraverso le note, operano per vie completamente distinte e in gran parte incompatibili, a maggior ragione nel caso della musica sinfonica.
Passato il trambusto, gli esecutori hanno ripreso tutto da capo, e con più piglio, eppure l’effetto delle grida ancora aleggiava in sala, rendendo difficile insediarsi nell’atmosfera elegiaca del Concerto. Solo nell’ultimo movimento la musica è sembrata rientrare nei suoi binari, anche se l’applauso entusiasta che ha salutato la poco memorabile interpretazione, si spiega solo come una scarica per togliersi di dosso il nervosismo. Zimmermann, infatti, domina come pochi il suo strumento, ma non sembra avere granché da dire, e le note scivolano via perdendo per strada i tanti momenti indimenticabili e commoventi che Beethoven ha disseminato nella partitura. Quanto ad Afkham, pur con tutte le cautele dovute alla situazione, non è parso in grado di rendere in modo organico e vivo la dialettica dei temi, l’evoluzione della musica, per cui se pure l’ultimo movimento, per la leggerezza del fraseggio e gli equilibri sonori, è stata la cosa migliore suonava però come un brano a sé stante e non come il coronamento di un percorso. Il gesto di Afkham è davvero molto bello e chiaro, ma stenta purtroppo a tradursi in risultati espressivi che comunicano e coinvolgano il pubblico. Almeno questo è quanto è venuto fuori dal Requiem di Fauré, opera delicata, fatta di scene e romanze quasi salottiere, che procede per brevi illuminazioni alla Schumann, ma in cui gli indugi armonici sospendono il discorso già in modo impressionistico. Inspiegabilmente, Afkham, l’ha reso con tempi lenti, che hanno annacquato i pochi squarci drammatici del lavoro, e con un’orchestra piuttosto pesante e rigida, poco attenta a lasciar vaporare i profumi della partitura. Ciononostante, il brano ha funzionato lo stesso, grazie all’espressività del coro e ai due bravissimi solisti, Christiane Karg e Anrei Bondarenko, che hanno giustamente cantato le loro parti con timbro velato e non squillante.
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