Le scoperte della "Sagra"
"Fratres" era il tema della Sagra Musicale Umbra
Nei concerti di venerdì 15 e di sabato 16 settembre, l’attenzione a questo eccezionale periodo della storia della musica si è accompagnata a un significativo livello qualitativo delle esecuzioni, offrendo peraltro al pubblico perugino l’occasione di ascoltare un repertorio non particolarmente frequentato nel nostro paese. Nella stupenda Basilica di San Pietro, il 15 settembre, Die Kölner Accademie, sotto la direzione di Michael Alexander Willens, ha eseguito le quattro Missae breves (BWV 233-236) di Johann Sebastian Bach, un tour de force dentro la complessa scrittura polifonica del Kantor che ha coinvolto intensamente gli ascoltatori sin dalle prime note. Se è vero che si tratta di cosiddetti lavori ‘parodistici’ in cui il compositore tedesco, tra il 1738 e il 1739 riprendeva materiale musicale di brani scritti circa un decennio prima – cosa che ha portato gli studiosi a mettere in secondo piano la loro importanza – vero è che si tratta pur sempre di un gesto artistico grazie al quale si andavano a fondere non solo il sacro e il profano ma anche il tedesco e il latino, come dire il luteranesimo e il cattolicesimo. Nel rito severo che contraddistingueva infatti la Lipsia luterana, erano infatti ammesse, in occasione delle festività solenni, le prime due parti dell’Ordinarium cattolico e Bach ne approfitta per organizzare dei lavori caratterizzati da una notevole varietà timbrica, grazie all’uso degli strumenti a fiato – coppie di flauti traversi, oboi, corni – che sono presenti a turno nelle quattro Messe, insieme agli strumenti ad arco e al basso continuo. Willens ha guidato gli strumenti e il coro con un gesto estremamente duttile, pronto a seguire sia la rigorosa trama contrappuntistica che segnava, per esempio, l’inizio del Kyrie nella Messa BWV 233, sia le tenere inflessioni melodiche che rimandavano ai temi dei corali luterani o comunque ai momenti di maggiore intensità delle composizioni in tedesco che erano alla base di questi lavori ‘parodistici’. Una delle caratteristiche che impreziosiscono le proposte musicali della Sagra Musicale Umbra è solitamente la scelta del sede del concerto, che deve avere delle affinità artistiche col repertorio e soprattutto costituire un ambiente ideale per la musica eseguita. A questo imprescindibile valore sicuramente portato dalla Basilica di San Pietro, si è aggiunto il notevole livello vocale dei quattro cantanti, che nelle sezioni solistiche presenti nelle Messe, hanno offerto momenti di particolare forza espressiva. Sicura l’interpretazione proposta dal soprano Myriam Arbouz e dal tenore Nicholas Mudroy, ma una parola di plauso in più va a Marian Dijkhuizen – ‘alto’ dal timbro particolarmente chiaro e gradevole – e Mauro Borgioni, che si conferma interprete di grande sensibilità e accuratezza.
Un appuntamento probabilmente indimenticabile per i presenti è stato poi quello che ha avuto luogo sabato 16 settembre nella Chiesa di San Filippo Neri, sempre a Perugia. Terzo concerto di una giornata particolarmente densa, che si è aperta a Trevi – dove è stata proposta la Johannes Passion di Schütz – ed è proseguita a Norcia – con un evento musicale che nel contempo ha voluto costituire un forte gesto di solidarietà e di speranza per le persone e i luoghi colpiti dai recenti eventi sismici – prima di rientrare appunto nel capoluogo umbro. Difficile rendere con le sole parole la vasta gamma di emozioni che David Bates, durante questo bellissimo concerto in cui è stato alla guida dell’ensemble La Nuova Musica, ha saputo suscitare nelle due parti del programma, nelle quali si andavano emblematicamente ad affiancare alcuni dei principali esponenti del mondo musicale cattolico e protestante. Certo, le idee interpretative di Bates – abile nel destreggiarsi tra eleganza del gesto ed espressività d’intenti – hanno potuto giovarsi non solo delle notevoli capacità di tutti i settori del suo gruppo, ma soprattutto dell’eccezionale vocalità dei solisti, in primo luogo i soprani Miriam Allan e Zoë Brookshaw. Le loro voci sono state due linee eteree che con grande agilità si sono cimentate nei passaggi più arditi che il celebre Miserere di Gregorio Allegri conteneva, contribuendo in modo significativo a quell’effetto di particolare impatto che nel corso dei secoli ha impressionato tanti illustri ascoltatori, accorsi appositamente nella Cappella Sistina per ascoltare quel capolavoro. Altra gemma, l’oratorio Jephte di Giacomo Carissimi è stato presentato sottolineando il vigore e la forte carica espressiva che caratterizzano questa pagina legata alla drammatica storia raccontata nell’Antico Testamento. L’austerità del protagonista è stata nelle ottime mani del tenore Matthew Long, mentre Zoë Brookshaw ha offerto nuovamente una ottima prova nei panni della figlia del profeta. Ma soprattutto va sottolineata la varietà che Bates è riuscito a evidenziare nella partitura di Carissimi, ricca di spunti ritmici, dai quali il direttore ha saputo tirar fuori tutta la giocosità che il linguaggio barocco comunque contiene, senza tuttavia rinunciare a sottolineare il grande dolore che la vicenda rappresenta e vuole trasmettere all’ascoltatore. Infine, il versante tedesco del programma di questo concerto ha visto nuovamente la presenza di Heinrich Schütz, giustamente considerato ‘padre della musica tedesca’, grazie a uno dei suo lavori più emblematici, quelle Musicalische Exequien scritte negli anni più drammatici che la città di Dresda conobbe durante la Guerra dei Trent’anni (1618-1648) su commissione del principe Heinrich II von Reuß. Nella sua ricca articolazione questo brano si innalza a dimensioni di particolare intensità e commozione, che Bates ha saputo restituire con estrema attenzione ed efficacia, evidenziando soprattutto tutto il magistero musicale che il tedesco aveva potuto assimilare negli anni in cui era stato a Venezia, prima come allievo del grande Giovanni Gabrieli e, successivamente, a contatto con le novità introdotte da Monteverdi. E davanti a questa ingegnosa rimodulazione del linguaggio musicale cattolico appreso in terra veneta, adattato alla nuova sensibilità tedesca di stampo luterano, di fronte insomma a questa intensa testimonianza, non c’è più motivo di dubitare dell’importante ruolo la musica di quel periodo ha saputo mantenere nel collegare culture così diverse e contrapposte.
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