Gli intrecci di "Questa debole forza”

Parma: le iniziative di Lenz

Recensione
classica
È densa e concentrata la materia espressiva compressa nei circa quaranta minuti che rappresentano il tempo occupato da “Questa debole forza”, installazione visuale e performativa site-specific realizzata nella Sala delle Statue di Veleia del Museo Archeologico Nazionale di Parma nel complesso del Palazzo della Pilotta. Il lavoro è stato proposto il 26 e 27 maggio scorsi nell’ambito di “Industriae 017”, la stagione di Lenz Fondazione, in collaborazione con il Teatro Regio in occasione dell’allestimento di “Prometeo – Tragedia dell’ascolto” di Luigi Nono al Teatro Farnese, ospitato nel medesimo complesso monumentale. Un dialogo tra due opere che appartengono a una contemporaneità differente – trenta e più anni di decantazione per il “Prometeo” noniano, in prima assoluta la proposta di Lenz – che non possono naturalmente essere confrontate se non per una comune fonte di ispirazione individuata nell’opera di Friedrich Hölderlin e in particolare nel “Canto di Iperione e del Destino”, che innerva l'Isola Seconda dell’opera del compositore veneziano.

Una fonte di ispirazione che nella dimensione modellata in “Questa debole forza” viene distillata in un intreccio di rimandi che mischiano le suggestioni raffigurate dalle statue togate – testimoni antiche del culto della dinastia giulio-claudia che segnava la città di Veleia – sfondo ideale da un lato per le proiezioni visive, caratterizzate da un onirico bianco e nero, e dall’altro per i movimenti dei due attori in uno spazio che confinava idealmente con il ristretto pubblico. Brandelli di parole, suoni, immagini e gesti plasmati da Francesco Pititto, responsabile di drammaturgia e imagoturgia, Maria Federica Maestri, curatrice dell’installazione site-specific e regia, e Claudio Rocchetti compositore di una partitura fatta di nastri e field-recordings.

Frammenti dal secondo atto del “Flauto magico” mozartiano vengono cantati a sola voce dal basso Eugenio Maria Degiacomi, incarnando l’attesa di Papageno (“Nun! ich warte noch! es sei - ich warte noch! nun - es sei - bis man zählet: eins, zwei, drei! / Ebbene! aspetto ancora! sì - aspetto ancora! ebbene - sia - fino a contare: uno, due, tre!”), mentre in scena Chiara Garzo recita con efficace suggestione i testi tratti da Hölderlin, in una combinazione misurata e pregnante di indagine linguistica, ambientazione archeologica e segni elettronici. I “non colori” del bianco e del nero dalle proiezioni rotanti tra le statue del museo si riverberano nei costumi degli attori sulla scena: bianco, pulito e lineare quello del personaggio maschile, nero, materico e “sonoro” quello del personaggio femminile. Segni che si ritrovano traslati anche nei suoni, ora più affilati ora più densi e raggrumati, che accompagnano l’azione e la parola fino a svanire in un silenzio sospeso, che precede di un attimo gli applausi del pubblico presente.

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