Ad Amburgo, aspettando l'apertura della Elbphilharmonie
Nuova sede e nuovo nome per la NDR Sinfonieorchester
Recensione
classica
Amburgo è la seconda città della Germania e un importante centro culturale in molti campi, dall'editoria alla musica. Non ha però un'orchestra stratosferica come Berlino e Monaco e altre città tedesche, anche più piccole, quali Dresda e Lipsia. Ma siamo in Germania e la NDR Elbphilharmonie Orchester (l'orchestra della radio della Germania del nord, la principale orchestra amburghese, denominata fino a pochi giorni fa NDR Sinfonieorchester: vedremo poi il perchè di questo cambio di nome) è comunque di ottimo livello, come ha dimostrato il concerto in cui l'abbiamo ascoltata sotto la direzione del suo direttore ospite principale Krzysztof Urbanski, trentaquattrenne polacco che ha iniziato la sua carriera con incarichi a Trondheim e Indianapolis e ora sta facendo il balzo sul podio delle maggiori orchestre, dai Berliner alla New York Philharmonic. Si può scommettere che ne sentiremo parlare spesso nel prossimo futuro. Non risultano sue presenze in Italia finora, ma nel giugno 2018 debutterà all'Accademia di Santa Cecilia.
Lo scattante attacco del Don Juan di Richard Strauss è sensazionale per la potenza del suono, la compattezza, l'omogeneità, il perfetto bilanciamento delle sezioni, d'altronde queste sono notoriamente le qualità tradizionali delle orchestre tedesche. Ancor più impressionante è l'attacco di Also sprach Zarathustra, con i contrabbassi che suonano un pianissimo appena udibile e che ha allo stesso tempo una forza primordiale impressionante. Poco dopo il celebre motto non ha quella spettacolarità che è il lascito della sua utilizzazione in 2001 Odissea nello spazio, ma è una terrificante esplosione tellurica. La sensazione è che tutto questo non stia solo nella fisicità del suono, ma venga da qualcosa non misurabile in herz e decibel, ma da uno spirito, da una cultura, da una tradizione ancora vive, insomma dal profondo dell'anima, scusandomi per espressioni così poco scientifiche, ma non ce ne sono di più adeguate. D'altronde è naturale che un'orchestra tedesca si senta a casa sua in questa musica. Le singole individualità sembrano a un livello leggermente inferiore a quello collettivo del gruppo, almeno all'inizio: in particolare il primo intervento a solo del violino nel Don Juan è povero di passionalità e sensualità. Però è solo una prima impressione, forse dovuta anche al fatto che gli strumentisti si dovevano ancora "scaldare", perché poi le cose vanno molto meglio, gli interventi a solo e in dialogo dei legni sono magnifici e il violino si riscatta totalmente col suo lungo solo nello Zarathustra. Ma la carta vincente dell'orchestra resta la precisione e la pienezza del suono, che dà il massimo rilievo a ogni minimo dettaglio, cosicché sembra di vedere la partitura squadernata davanti agli occhi, nei passaggi più delicati e cameristici così come in quelli più intricati e turbinosi.
Tra i due lavori di Strauss stava il Concerto in la minore di Schumann con Jan Lisiecki al pianoforte, che ne ha offerto un'interpretazione attentamente calibrata, con bel suono e delicate sfumature. In tal modo veniva fuori meravigliosamente il lirismo schumanniano, ma restavano un po' in sordina gli aspetti più accesamente romantici, fantastici e drammatici. Siamo immensamente grati al pianista canadese, straordinario per il talento naturale e ancor più per la maturità raggiunta a soli ventuno (!) anni, di aver tenuto fuori dalla porta il virtuosismo plateale, il narcisismo e le interpretazioni disinvolte e presuntuosamente personali di certi giovani leoni della tastiera.
Per finire torniamo alla nuova denominazione dell'orchestra, ovvero NDR Elbphilharmonie Orchester, scelta per impossessarsi anche simbolicamente del grande auditorium in cui l'orchestra della radio si trasferirà a partire dal prossimo gennaio insieme alle altre orchestre amburghesi, i Symphoniker e i Philharmoniker. Nel modernissimo quartiere ricavato da un settore dismesso del grande porto sull'Elba già si può vedere, ormai finito all'esterno, il grande edificio della Elbphilharmonie, che nella parte bassa in laterizio sembra la prua di una nave che fende le acque, mentre la parte superiore in vetro è mossa da piccole increspature ondose sui lati e da grandi cavalloni sul tetto. È stata pensata per diventare, come l'opera di Sydney e quella di Oslo, un simbolo della città, ma finora Amburgo è poco orgogliosa di questo edificio, perché la sua costruzione è stato uno scandalo a cui a queste latitudini non sono abituati: doveva aprire nel 2010 e costare 241 milioni di euro, aprirà nel 2017 e costerà 789 milioni. A prescindere da questo, darà senza dubbio impulso e prestigio alla vita musicale amburghese e in particolare alla NDR Elbphilharmonie Orchester. La principale delle tre sale avrà 2073 posti e, a giudicare dalla pianta, la si direbbe simile alla Berlin Philharmonie, con il palco dell'orchestra al centro. Le dimensioni - non così spropositatamente grandi come quelle della sala S. Cecilia del Parco della Musica di Roma - lasciano sperare in una buona acustica, che non faccia troppo rimpiangere quella calda, avvolgente, meravigliosa della vecchia Laeiszhalle, dove si è svolto il concerto di cui si è parlato qui. Quel che è certo è che la sua apertura sarà di stimolo alla vita musicale della città e di conseguenza al turismo musicale, che non ha Amburgo tra le sue mete principali, a torto.
Lo scattante attacco del Don Juan di Richard Strauss è sensazionale per la potenza del suono, la compattezza, l'omogeneità, il perfetto bilanciamento delle sezioni, d'altronde queste sono notoriamente le qualità tradizionali delle orchestre tedesche. Ancor più impressionante è l'attacco di Also sprach Zarathustra, con i contrabbassi che suonano un pianissimo appena udibile e che ha allo stesso tempo una forza primordiale impressionante. Poco dopo il celebre motto non ha quella spettacolarità che è il lascito della sua utilizzazione in 2001 Odissea nello spazio, ma è una terrificante esplosione tellurica. La sensazione è che tutto questo non stia solo nella fisicità del suono, ma venga da qualcosa non misurabile in herz e decibel, ma da uno spirito, da una cultura, da una tradizione ancora vive, insomma dal profondo dell'anima, scusandomi per espressioni così poco scientifiche, ma non ce ne sono di più adeguate. D'altronde è naturale che un'orchestra tedesca si senta a casa sua in questa musica. Le singole individualità sembrano a un livello leggermente inferiore a quello collettivo del gruppo, almeno all'inizio: in particolare il primo intervento a solo del violino nel Don Juan è povero di passionalità e sensualità. Però è solo una prima impressione, forse dovuta anche al fatto che gli strumentisti si dovevano ancora "scaldare", perché poi le cose vanno molto meglio, gli interventi a solo e in dialogo dei legni sono magnifici e il violino si riscatta totalmente col suo lungo solo nello Zarathustra. Ma la carta vincente dell'orchestra resta la precisione e la pienezza del suono, che dà il massimo rilievo a ogni minimo dettaglio, cosicché sembra di vedere la partitura squadernata davanti agli occhi, nei passaggi più delicati e cameristici così come in quelli più intricati e turbinosi.
Tra i due lavori di Strauss stava il Concerto in la minore di Schumann con Jan Lisiecki al pianoforte, che ne ha offerto un'interpretazione attentamente calibrata, con bel suono e delicate sfumature. In tal modo veniva fuori meravigliosamente il lirismo schumanniano, ma restavano un po' in sordina gli aspetti più accesamente romantici, fantastici e drammatici. Siamo immensamente grati al pianista canadese, straordinario per il talento naturale e ancor più per la maturità raggiunta a soli ventuno (!) anni, di aver tenuto fuori dalla porta il virtuosismo plateale, il narcisismo e le interpretazioni disinvolte e presuntuosamente personali di certi giovani leoni della tastiera.
Per finire torniamo alla nuova denominazione dell'orchestra, ovvero NDR Elbphilharmonie Orchester, scelta per impossessarsi anche simbolicamente del grande auditorium in cui l'orchestra della radio si trasferirà a partire dal prossimo gennaio insieme alle altre orchestre amburghesi, i Symphoniker e i Philharmoniker. Nel modernissimo quartiere ricavato da un settore dismesso del grande porto sull'Elba già si può vedere, ormai finito all'esterno, il grande edificio della Elbphilharmonie, che nella parte bassa in laterizio sembra la prua di una nave che fende le acque, mentre la parte superiore in vetro è mossa da piccole increspature ondose sui lati e da grandi cavalloni sul tetto. È stata pensata per diventare, come l'opera di Sydney e quella di Oslo, un simbolo della città, ma finora Amburgo è poco orgogliosa di questo edificio, perché la sua costruzione è stato uno scandalo a cui a queste latitudini non sono abituati: doveva aprire nel 2010 e costare 241 milioni di euro, aprirà nel 2017 e costerà 789 milioni. A prescindere da questo, darà senza dubbio impulso e prestigio alla vita musicale amburghese e in particolare alla NDR Elbphilharmonie Orchester. La principale delle tre sale avrà 2073 posti e, a giudicare dalla pianta, la si direbbe simile alla Berlin Philharmonie, con il palco dell'orchestra al centro. Le dimensioni - non così spropositatamente grandi come quelle della sala S. Cecilia del Parco della Musica di Roma - lasciano sperare in una buona acustica, che non faccia troppo rimpiangere quella calda, avvolgente, meravigliosa della vecchia Laeiszhalle, dove si è svolto il concerto di cui si è parlato qui. Quel che è certo è che la sua apertura sarà di stimolo alla vita musicale della città e di conseguenza al turismo musicale, che non ha Amburgo tra le sue mete principali, a torto.
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