Madrid riscopre Edgar
Il "giovane” Puccini in forma di concerto
Recensione
classica
L’orchestra della Radio Televisione Spagnola (la RTVE) ha da poco richiamato Miguel Ángel Gómez-Martinez come suo direttore stabile e questa prima stagione programmata sotto la sua supervisione, tra altre proposte di interesse come Il libro dei sette sigilli di Franz Schmidt, ha la curiosa occorrenza di aprirsi e chiudersi con le due opere giovanili di Puccini, Edgar e Le Villi. Il 6 e 7 ottobre scorsi si è potuto ascoltare Edgar, quest’opera così prepotentemente gravida di idee, spunti e talento, ma così imperfetta e insostenibile sul piano drammaturgico da renderne assai rara la presenza in teatro. Ascoltata in sala da concerto, messa cioè tra virgolette e proposta come un opera da studiare e osservare con libretto alla mano, è riuscita se non più plausibile, almeno più istruttiva, visto che la presenza in scena dell’orchestra ha chiarito subito quale fosse già da giovane la maestria di Puccini come orchestratore, e quanta parte il ricco tessuto sinfonico abbia nel differenziare la sua arte da quella dei suoi colleghi italiani della cosiddetta giovane scuola, proiettandolo allo stesso rango dei grandi musicisti europei della sua generazione. In particolare, stupiva ascoltare sonorità già debussiane e osservare, nonostante la presenza di melodie ben tornite e memorabili, come il baricentro della composizione fosse già qui situato nell’orchestra, secondo un orientamento che si farà sempre più marcato in particolare nelle ultime opere della sua carriera.
I momenti migliori di quest’opera sono quelli sensuali e di atmosfera, nonché alcune pregevoli pagine di una religiosità piuttosto sentimentale, mentre i momenti più incongruenti e falsi sono quelli in cui emergono come per una consuetudine melodrammatica non ancora liquidata dalla nuova sensibilità, i temi verdiani della maledizione, dell’indignazione morale, della patria e dell’onore. Puccini non era temperamento battagliero e di tutte queste cose chiaramente non gli interessava nulla, con il risultato che per convincersi o per convincere noi si trova spesso ad alzare la voce e perdere il senso della misura che invece sarà una delle sue maggiori qualità. C’è anche da dire che difficilmente si può trovare un libretto così sconclusionato come quello di quest’opera, soprattutto nella versione definitiva e accorciata in tre atti.
Chissà se un’esecuzione più distaccata e in un certo senso ironica avrebbe potuto riscattare anche queste pagine retoriche e non sentite, certo è che Gómez-Martinez ha scelto a Madrid la strada opposta, cioè quella di tirare i finali d’atto, i grandi momenti corali al parossismo sonoro, per strappare con la forza dei decibel quegli applausi che la pochezza drammatica della situazione non avrebbe garantito. Eppure la sua direzione fu ammirevole per controllo delle sonorità e per gli equilibri in tutti quegli altri momenti di effusione lirica, di brillantezza sensuale in cui sono i germi più carichi di futuro di questo lavoro. Egli è direttore esperto e reduce da anni di esperienza all’estero nei migliori teatri, è un peccato che si lasci andare a un difetto, che abbiamo già riscontrato in altre sue esecuzioni, così plateale quale è quello di lasciare l’orchestra a briglia sciolta nei fortissimi, con l’effetto di annullare i veri culmini di tensione e gli apici della partitura.
Non che ciò abbia danneggiato più di tanto i cantanti, sempre seguiti a dovere. Forse solo il tenore Marcello Giordani, impostato il suo Edgar su un tipo di vocalità declamata e stentorea già dall’inizio, si è trovato in difficoltà negli sforzi dell’ultimo atto. Ma a parte questa assenza di duttilità vocale, la sua presenza è stata senz’altro benefica per la riuscita della serata, per l’autorevolezza e il piglio con cui ha interpretato il suo personaggio e per la dizione impeccabile. Purtroppo María José Montiel, che avrebbe dovute cantare la parte di Tigrana, ha dovuto rinunciare per motivi di salute ed è stata sostituita all’ultimo con grande professionalità da Inés Moraleda. Evidentemente un po’ sulle spine e dotata di una voce non proprio potente e più adatta ruoli mozartiani e rossiniani, ha comunque dato una prova molto buona, scegliendo intelligentemente di non forzare e ingrossare i suoni per paura di non farsi sentire. Più spigliata, ma assai meno elegante vocalmente, Carmen Solís nei panni di Fidelia; bravissimo invece il baritono Josep Miquel Ramón come Frank. Curiosa la reazione del pubblico: apparentemente addormentato e poco propenso all’applauso nei primi due atti, e invece entusiasta alla fine.
I momenti migliori di quest’opera sono quelli sensuali e di atmosfera, nonché alcune pregevoli pagine di una religiosità piuttosto sentimentale, mentre i momenti più incongruenti e falsi sono quelli in cui emergono come per una consuetudine melodrammatica non ancora liquidata dalla nuova sensibilità, i temi verdiani della maledizione, dell’indignazione morale, della patria e dell’onore. Puccini non era temperamento battagliero e di tutte queste cose chiaramente non gli interessava nulla, con il risultato che per convincersi o per convincere noi si trova spesso ad alzare la voce e perdere il senso della misura che invece sarà una delle sue maggiori qualità. C’è anche da dire che difficilmente si può trovare un libretto così sconclusionato come quello di quest’opera, soprattutto nella versione definitiva e accorciata in tre atti.
Chissà se un’esecuzione più distaccata e in un certo senso ironica avrebbe potuto riscattare anche queste pagine retoriche e non sentite, certo è che Gómez-Martinez ha scelto a Madrid la strada opposta, cioè quella di tirare i finali d’atto, i grandi momenti corali al parossismo sonoro, per strappare con la forza dei decibel quegli applausi che la pochezza drammatica della situazione non avrebbe garantito. Eppure la sua direzione fu ammirevole per controllo delle sonorità e per gli equilibri in tutti quegli altri momenti di effusione lirica, di brillantezza sensuale in cui sono i germi più carichi di futuro di questo lavoro. Egli è direttore esperto e reduce da anni di esperienza all’estero nei migliori teatri, è un peccato che si lasci andare a un difetto, che abbiamo già riscontrato in altre sue esecuzioni, così plateale quale è quello di lasciare l’orchestra a briglia sciolta nei fortissimi, con l’effetto di annullare i veri culmini di tensione e gli apici della partitura.
Non che ciò abbia danneggiato più di tanto i cantanti, sempre seguiti a dovere. Forse solo il tenore Marcello Giordani, impostato il suo Edgar su un tipo di vocalità declamata e stentorea già dall’inizio, si è trovato in difficoltà negli sforzi dell’ultimo atto. Ma a parte questa assenza di duttilità vocale, la sua presenza è stata senz’altro benefica per la riuscita della serata, per l’autorevolezza e il piglio con cui ha interpretato il suo personaggio e per la dizione impeccabile. Purtroppo María José Montiel, che avrebbe dovute cantare la parte di Tigrana, ha dovuto rinunciare per motivi di salute ed è stata sostituita all’ultimo con grande professionalità da Inés Moraleda. Evidentemente un po’ sulle spine e dotata di una voce non proprio potente e più adatta ruoli mozartiani e rossiniani, ha comunque dato una prova molto buona, scegliendo intelligentemente di non forzare e ingrossare i suoni per paura di non farsi sentire. Più spigliata, ma assai meno elegante vocalmente, Carmen Solís nei panni di Fidelia; bravissimo invece il baritono Josep Miquel Ramón come Frank. Curiosa la reazione del pubblico: apparentemente addormentato e poco propenso all’applauso nei primi due atti, e invece entusiasta alla fine.
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