Strasburgo contemporanea

Apertura di stagione con la novità “Mririda” di Ahmed Essyad e “The Turn of the Screw” di Britten

Recensione
classica
Settembre a Strasburgo vuol dire contemporanea: dal 1985 la vita musicale della città alsaziana riprende dopo l’interruzione estiva con la ricca programmazione di “Musica”, due intense settimane dedicate alla musica contemporanea in tutte le sue molteplici articolazioni. Come nelle edizioni precedenti, il teatro musicale era ben rappresentato nel cartellone anche per questa edizione, sia con proiezioni di lavori presentati in edizioni passate (era il caso quest’anno del “Giordano Bruno” di Francesco Filidei del 2015) ma anche attraverso creazioni realizzate come nel passato con la collaborazione dell’Opéra national du Rhin. Negli anni dell’oculata gestione di Marc Clémeur l’istituzione lirica strasburghese ha dato largo spazio al repertorio contemporaneo. Tendenza che si conferma anche nell’ultima stagione del manager belga al timone dell’Opéra national du Rhin con le due opere da camera “Mririda”, novità di Ahmed Essyad, e il classico novecentesco “The turn of the screw” di Benjamin Britten.

Chi sia Mririda lo spiega lo stesso Essyad: «Mririda parla di donne libere, vive e resistenti, che si ergeranno davanti ai fondamentalisti e rivendicheranno i loro corpi e la gioia di vivere. Ricco delle mie esperienze liriche precedenti e delle mia conoscenza delle musiche amazigh in Marocco, la mia, qui, inventa i suoi modi e si iscrive nella distanza, al di fuori di ogni dimensione psicologica. È energia e prende la dinamica nel canto sorrerraneo della lingua di Claudine Galea e di quella di Mririda, regina delle feste e degli uomini, une “sceicca”, bella, libera, che ha padronanza della rima, del canto e della danza.» La scena è un territorio in guerra, un villaggio senza precise connotazioni geografiche né temporali. Sono tre le donne che rappresentano la vita del villaggio: la vecchia, la ragazza e Mririda, l’«etèra», intellettuale e donna libera. A loro si oppongono l’ufficiale e il mercenario, che rappresentano la violenza e il principio di distruzione. Tra di loro, lo straniero, un antropologo, ponte fra il villaggio e la forza distruttrice. La vicenda si snoda fra la tensione fra i due principi, quello femminile e quello maschile, le portatrici di vita e i dispensatori di morte. Il villaggio verrà distrutto ma, nonostante tutto, «la vita è una grazia» e va avanti. Soggetto interessante che tuttavia un certo schematismo combinato a un linguaggio piuttosto fumoso (per non dire sentenzioso) tende a depotenziare, trasformando la vicenda in una parabola di sapore genericamente pacifista. Non è certo un lavoro militante o politico e nemmeno la presenza della figura centrale, ispirata a una donna leggendaria di cui si raccontava nei villaggi berberi nella valle di Tessaut nell’Alto Atlante ancora nel 1920, riesce a conferire forza e attualità. Su questo intreccio drammaturgico si sviluppa la musica di Ahmed Essyad, marocchino di nascita e europeo di formazione, solidamente ancorata alla tradizione occidentale del secondo dopoguerra con interessanti inserti “etnici” (su tutte, vedasi la languida melopea dell’oboe con percussioni obbligate nell’accompagnamento al corteggiamento di Mririda da parte dello straniero).

Messaggio a parte, il lavoro di Essyad ha anche un dichiarato obiettivo pedagogico e da questo punto di vista funziona molto bene. L’esecuzione è infatti affidata ai giovani cantanti dell’Opéra Studio dell’Opéra national du Rhin e una ventina di strumentisti dell’Académie supérieure de musique-HEAR e del Conservatorio di Strasbourg, tutti diligentemente impegnati sotto la guida di Léo Warynski, coadiuvati dal coro dell’Opéra national du Rhin. Compagine vocale fresca, dunque, anche se qualcuno inevitabilmente sconta l’ancora scarsa esperienza professionale. Francesca Sorteni è una Mririda ben disegnata sul piano vocale ma un po’ trattenuta su quello scenico, laddove invece le altre due donne Louise Pingeot (la ragazza) e Coline Dutilleul (la vecchia) risultano meno incisive soprattutto per più di una debolezza nell’impianto drammaturgico. Emergono invece con maggiore dettaglio le figure maschili, affidate a Camille Tresmontant (lo straniero), Diego Godoy (il mercenario) e Antoine Foulon (l’ufficiale). Va poco oltre l’essenzialità di un saggio scolastico lo spettacolo firmato da Olivier Achard per la scena della Cité de la Musique et de la Danse, con scene piuttosto dimesse di Julien Laurenceau, semplici sipari bianchi animati da proiezioni.



The Turn of the Screw (regia di Robert Carsen) – trailer

Altra opera da camera, ma di ben altro spessore, nel cartellone di apertura della stagione strasburghese, in questo caso sulla scena maggiore dell’Opéra: il classico novecentesco “The turn of the Screw”, i cui i numerosi allestimenti attualmente in circolazione sulle scene internazionali ne testimoniano l’ottimo stato di salute. Un soggetto intrigante, un meccanismo scenico implacabile e un commento musicale avvincente pur nell’intelligente parsimonia dei mezzi impiegati sono le chiavi di un successo che continua inalterato a oltre sessant’anni dal debutto veneziano. A misurarsi con il capolavoro britteniano a Strasburgo è stato chiamato Robert Carsen, presenza assidua nel cartellone del teatro alsaziano (in dicembre è annunciato il ritorno della sua “Piccola volpe astuta”), che importa il suo allestimento pensato quattro stagioni fa per il Theater an der Wien. Allestimento di altissima eleganza (lo stesso Carsen firma scene e costumi in collaborazione con Luis Carvalho) giocato tutto sul “ton sur ton” di un cinematografico bianco e nero da noir hollywoodiano anni ’50 giocando con inquadrature e zoom creati ad arte da un abile gioco di sipari neri.

Chi è l’assassino? Carsen sfuma ma fa cadere i sospetti sulla Governante (in assenza del maggiordomo): che i fantasmi di Bly siano solo proiezioni delle sue fobie sessuali? Distribuzione vocale senza smagliature e calzante anche sul piano scenico. La scelta di due giovanissimi per Flora e Miles paga, specialmente quando si trovano giovani interpreti della caratura di Odile Hinderer e soprattutto Philippe Tsouli, la prima cresciuta nelle fila delle voci bianche dell’Opéra national du Rhin e il secondo ancora in forza nelle voci bianche “Aurelius” di Calw il primo. Heather Newhouse è una perfetta incarnazione dell’algida Governante, mentre Nikolai Schukoff conferisce al suo Quint una carica di virile sensualità. Perfettamente intonate anche Cheryl Barker e Anne Mason nei panni di Miss Jessel e Mrs Grose rispettivamente. Buona prova degli strumentisti dell’Orchestre symphonique de Mulhouse che apportano la giusta tensione allo sviluppo dell’opera sotto la guida da Patrick Davin.

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Per la prima volta quest’opera di Händel è stata eseguita a Roma, in forma di concerto

classica

A Ravenna l’originale binomio Monteverdi-Purcell di Dantone e Pizzi incontra l’eclettico Seicento di Orliński e Il Pomo d’Oro

classica

Torino: inaugurazione di stagione con Le nozze di Figaro