Sotto la parrucca, poco

I primi appuntamenti del Festival Monteverdi-Vivaldi 2016

Recensione
classica
Poche realtà sono vittime della propria fortuna come Venezia. Sempre più povera di abitanti, la città lagunare potrebbe teoricamente contare su una platea di milioni di visitatori attirati dalla sua grande bellezza. Eppure, fatte salve alcune gloriose (e storiche) eccezioni, ogni tentativo di avviare iniziative culturali di un certo respiro sembra destinato a aver vita breve. Problema di finanziamenti pubblici? Mancanza di spirito imprenditoriale? Incapacità di adeguare modelli produttivi ai vincoli o alle necessità contemporanee? Sia come sia, l’incapacità di pensare in grande si manifesta in un pullulare di iniziative di puro sfruttamento dell’immagine della città all’arrembaggio di turisti sprovveduti. Ossia Vivaldi con parrucca. E sotto la parrucca niente.

Qualche anno fa il Venitian Centre for Baroque Music nasceva con ambizioni elevate proponendosi di recuperare un repertorio “naturale” per Venezia puntando sulla qualità di interpreti e proposte. Cosa sia successo a quelle ambizioni non è chiaro, ma l’impressione è che il Festival Monteverdi-Vivaldi 2016 segni un piccolo passo indietro, nonostante l’intenzione dichiarata nel motto di voler togliere la parrucca vetusta a Vivaldi. Già del “festival” tutto sommato questa rassegna ha poco: una linea artistica piuttosto generica, una certa timidezza sul piano dei programmi, pochi nomi di richiamo e comunque relegati al “salotto” (l’unica novità dell’edizione 2016), una programmazione sparsa su un arco temporale fin troppo ampio. Meglio sarebbe presentarla più come una stagione di fine estate, quest’anno in alcune delle dimore più sontuose della città.

Il che ci sta, se non facesse pensare al solito specchietto per turisti di quando la musica da sola non basta a richiamare pubblico. Quel che continua a mancare è un autentico Festival Vivaldi che porti a Venezia le esperienze più avanzate e creative dell’interpretazione della musica strumentale e vocale di prete rosso & co(ntemporanei) e questo non fa certamente onore alla sua città. Insomma, sotto la parrucca c’è ancora abbastanza poco.

Detto questo, i tre concertini che hanno inaugurato la rassegna non erano privi di interesse e comunque capaci di attirare una partecipazione significativa di pubblico, nonostante le moltissime distrazioni della tarda estate veneziana. Apriva la serie, nell’atrio rinascimentale di Palazzo Zorzi, il recital del soprano Giulia Bolcato accompagnata dal clavicembalista Nicola Lamon in un programma di cantate riunite sotto il titolo “Venezia e Napoli. L’apoteosi della musica tra Ospedali e Conservatori”, omaggio alle due capitali europee del teatro attraverso alcuni dei più significativi compositori del periodo. Apriva pertinentemente lo stravagante “Solfeggio in Cesolfaut” del napoletano Leonardo Leo seguito dalle quattro cantate di Nicola Porpora (“Se la rosa fresca e bella”), Antonio Vivaldi (“Sì, sì luci adorate”), Carlo Francesco Pollarolo (“Punge un fiore” dalle ardite metafore sessuali) e Alessandro Scarlatti (“Liete, placide e belle acque” di forte densità drammatica). Voce fresca e agile, con solo qualche asperità nel registro acuto, la Bolcato si destreggiava bene nel tradizionale campionario arcadico di amori infelici nonostante qualche limite nell’interpretazione di queste vere e proprie operine in miniatura. Bene l’accompagnamento di Nicola Lamon, che conquistava la scena con la trascrizione bachiana del vivaldiano Concerto op. 3 n. 12 e la Sonata prima “del Signor Francesco Durante”.

Dai fogli sparsi della biblioteca del conte Rudolf Franz Erwein von Schönborn nasceva il programma del secondo concerto, “Veneziani a Würzburg”. Committente dello spettacolare affresco di Tiepolo con l’allegoria dei quattro continenti sul soffitto dello scalone monumentale nella Residenz di Würzburg, Schönborn fu violoncellista di valore e destinatario di numerose composizioni di Antonio Caldara e Giovanni Benedetto Platti fra gli altri. Cornice “intima”, adeguata al carattere della serata, era il salone del piano nobile di Palazzo Marin. Il violoncellista Federico Toffano e il clavicembalista Roberto Loreggian proponevano una selezione di sonate di Vivaldi, Platti e Caldara, oltre a un’altra trascrizione bachiana per clavicembalo solo del Concerto in re maggiore di Vivaldi. Qualche passaggio difficile nei movimenti lenti e marcatamente più sicuro nei passaggi più tecnici, il violoncello di Toffano mostrava qualche limite nell’interpretazione di un repertorio probabilmente non particolarmente vicino alle sue corde, laddove invece Loreggian si imponeva per il rigore stilistico.

Il terzo concerto rendeva omaggio a una delle voci più straordinarie del teatro musicale della prima metà del Settecento, il Senesino, attraverso un’antologia di arie d’opera e cantate di compositori di area veneziana, la città che accolse il suo debutto nel 1707. L’illuminazione a lume di candela nel grande salone affrescato di Palazzo Pisani Moretta creava una certa suggestione teatrale per l’esibizione del controtenore Rupert Enticknap accompagnato al cembalo da Nicola Lamon. Più che a fare un ritratto del divo Senesino attraverso composizioni ispirate alla sua arte vocale, la scelta dei brani sembrava piuttosto orientata a ricreare le suggestioni musicali dei primi decenni del Settecento a Venezia con più di una rarità. Apriva la serata l’aria vivaldiana “Sileant Zephyri” seguita dalle tre arie di Rinaldo dall’ “Armida abbandonata” di Giovanni Maria Ruggieri e quindi da due arie di Antonio Lotti dal “Marsia deluso” e “Polidoro”. Obbligata la presenza di Händel, di cui ben 17 opere ebbero Senesino fra i protagonisti alla creazione, rappresentato dalla giovanile (e veneziana) “Agrippina”. Chiudeva la cantata “Soffri mio caro Alcino” di Antonio Caldara. Un programma ben congegnato per mettere in particolare evidenza la morbidezza di emissione e l’eccellente omogeneità timbrica di Enticknap, piuttosto che per esaltare il “grande fuoco” nei pezzi più mossi del Senesino o i suoi “ rapidi gorgheggi di petto con una tecnica articolata e piacevole” dei quali testimoniò Quantz. Ottimo accompagnatore, Nicola Lamon aveva modo anche in questa occasione di dimostrare le sue doti tecniche nel secondo Concerto per cembalo di Hasse e la Suite in Re minore di Händel (quella della celebre "Sarabande", con la suggestione delle candele che richiama alla memoria il bellissimo Barry Lindon di Kubrick).

Appuntamenti in cartellone fino al 20 ottobre fra saloni patrizi, compresi quelli di alcune ville sul Brenta. Togliamo pure la parrucca a Vivaldi, ma se in futuro si provasse a osare anche di più?

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