Nel laboratorio di Verbier

Star e giovani al festival svizzero

Recensione
classica
Festival ricco (di sponsor e di star), quello di Verbier è nato 23 anni fa in centro turistico tra le montagne svizzere, nel Canton du Valais, tra boschi e funivie, chalet di legno e alpeggi. Non ci sono grandi sale. I concerti sono ospitati in un piccola chiesa (di cemento) e alla Salle de Combins, poco più che un grande tendone, con la pioggia battente che fa spesso da sottofondo alla musica. Di solito, d'estate, le star della musica classica riciclano il repertorio eseguito durante la stagione musicale. Ma a Verbier si possono fare interessanti scoperte. E il fascino della rassegna è notevole, non solo per l'impatto paesaggistico, ma anche per la grande quantità di giovani talenti in circolazione, che frequentano master-class aperte al pubblico, e per le attività dell'Accademia che negli anni ha contribuito a formare musicisti di fama mondiale, tanto che si arriva a parlare di una "Generazione Verbier". Il festival si è aperto con un concerto della Verbier Festival Orchestra diretta da Charles Dutoit, con l'attesa esibizione di Kyung Wha Chung. La violinista coreana, che negli anni Settanta dominava la scena internazionale, e che nel 2005 aveva smesso di suonare a causa di un problema alla mano, si è cimentata con il Concerto per violino di Brahms, che era stato uno dei suoi cavalli di battaglia, e che aveva inciso nel 2001 con Rattle (Emi). La tecnica era ancora notevole, così come il grande istinto musicale, ma il suono non sembrava più quello di una volta, era più esile, più nervoso che corposo. Anche il modo di fraseggiare non era più fluido, risultava più macchinoso, frammentato, e nel finale la cesura tra la prima e la seconda battuta, così estremizzata, dava al tema una fisionomia quasi zoppicante. Ne risultava un'esecuzione un po' fredda, e anche senza nerbo, con l'orchestra peraltro sempre in secondo piano. Dutoit ha poi diretto la Symphonie Fantastiche, dimostrando la sua grande dimestichezza con questa partitura e il suo mestiere. È stata una lettura più elegante che visionaria, che curava molto gli equilibri orchestrali, giocava molto bene sulla varietà dei colori (belle le tinte pastello di Scene aux champs), mirava alla massima trasparenza nell'intreccio delle linee, sottolineava bene la propulsione ritmica nei due movimenti conclusivi.

Più interessante è sembrata però l'interpretazione che Gábor Takács-Nagy ha dato delle due sinfonie estreme nella produzione mozartiana, la K 16 e la "Jupiter", sul podio della Verbier Festival Chamber Orchestra, di cui è direttore stabile dal 2011. Il sessantenne direttore ungherese (che è stato anche violinista di fama, fondatore del celebre Quartetto Takács, anche lui costretto ad appendere a un chiodo il suo strumento per un problema alla mano) aveva già diretto queste due sinfonie con la Manchester Camerata. Anche in questo caso non era un'orchestra con strumenti originali, ma l'esecuzione era, al solito, scattante, con un suono asciutto, pungente e leggero, senza tanto vibrato, con uno stacco veloce dei tempi, che ricordava un po' Gardiner. Nella "Jupiter" Takács-Nagy curava molto bene gli sviluppi con contrasti accesi, nitide trame imitative, e un gesto sempre trascinante. Analoghi caratteri si ritrovavano nell'esecuzione della Messa in do minore K 427, penalizzata però dalla disomogeneità delle voci dei solisti (Emöke Baráth, Ann Hallenberg, Bernard Richter, Stephan Genz) e soprattutto dalla pesantezza del coro (MasterVoices di New York), sovradimensionato, che sembrava annaspare dietro l'orchestra.

Quest'anno ha fatto il suo debutto anche la terza orchestra del festival, la Verbier Festival Junior Orchestra, formata da ragazzi di varie nazionalità di età compresa tra i 15 e i 18 anni, costituita nel 2013 con un programma di formazione ideato da Daniel Harding. Lo stesso Harding ha diretto un programma molto impegnativo, un concetrato di Romanticismo estremamente formativo per i giovani orchestrali, oltre che affascinante per il pubblico: il Preludio e Liebestod dal Tristano, l'Ouverture da Genoveva di Schumann, e i mahleriani Rückert-Lieder (solista il baritono Stephan Genz, che si è dimostrato un ottimo liederista, dalla voce omogenea, non possente ma molto espressiva, capace di trasmettere tutto lo struggimento di quei Lieder). Certo, all'orchestra mancava la corposità di suono, e gli archi risultavano un po' leggeri, ma la prova è stata superata brillantemente, con un'esecuzione appassionata, piena di slanci, con buone individualità che emergevano soprattutto nella trama rarefatta e scoperta della partitura di Mahler.

Tra i giovani interpreti del vivaio di Verbier si è ammirato il violinista Benjamin Beilman, che insieme al talentuoso Alessio Bax ha offerto un'esecuzione brillante, piena di colore e di atmosfere, della seconda sonata di Ravel, e si è fatto ammirare per la finezza nell'interpretazione della Fantasia in do maggiore di Schubert, soprattutto per la scelta dei tempi, con sospensioni e rallentamenti sempre carichi di tensione. Tra le star della tastiera non poteva mancare Daniil Trifonov, portato a emblema della "Generazione Verbier" (come Yuja Wang, il quartetto Ebène, il clarinettista austriaco Andreas Ottensamer). Il programma del suo recital, già ampiamente collaudato (e presentato anche a Roma lo scorso gennaio) comprendeva, nella prima parte, la Sonata D 894 "Fantasia" di Schubert incorniciata da due virtuosistiche "rivisitazioni" brahmsiane (la Ciaccona in re minore di Bach, trascritta per la mano sinistra, e il primo Quaderno della Variazioni su un tema di Paganini), e nella seconda, la prima Sonata di Rachmaninov. Oltre a una tecnica stupefacente, alla pienezza del suono, a un infallibile senso del tempo musicale, a un perfetto controllo delle dinamiche, Trifonov ha dimostrato ha dimostrato una profonda immedesimazione i tutti i pezzi, anche in quelli più tecnici: lo si è visto nella concentrazione espressiva con cui ha eseguito la Ciaccona, nella varietà di sfumature agogiche e timbriche nelle Brahms-Paganini (nella eterea variazione n.12 creava uno stato di sospensione, un'atmosfera sognante, giocando su dinamiche controllatissime e dei rallentandi che la facevano sembrare come un carillon che si scaricava), nell'arcata narrativa ottenuta nella Sonata schubertiana anche attraverso una grande varietà estrema di sfumature timbriche e di chiaroscuri, nello slancio romantico della Sonata di Rachmaninov, affrontata con chiarezza di articolazione e linee nitide che tracciavano precise curve dinamiche e drammatiche.

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