La peggiore
Il film di Stephen Frears dedicato a Florence Foster Jenkins, la peggiore cantante di sempre
Recensione
classica
Si può dire che non sapesse cantare, ma certamente non si può dire che non abbia cantato. Chi ha ascoltato le poche registrazioni della sua arte canora ha pochi dubbi che Florence Foster Jenkins non fosse esattamente un usignolo, nonostante lei stessa avesse di sé una considerazione piuttosto elevata. «Nello sforzo più appassionato, canto come un uccello”»avrebbe detto una volta, affermazione smentita sul piano ornitologico da quel critico che di lei scrisse: «nel migliore dei casi, il suo canto suggerisce uno sfrenato volo in picchiata di un qualche grande uccello». L’aneddotica su di lei si spreca. Si racconta ad esempio che, coinvolta in un incidente senza conseguenze in un taxi, abbia mandato una costosa scatola di sigari al colpevole tassista in segno di gratitudine per averle fatto emettere un fa sovracuto per lo spavento.
Un bel film di Stephen Frears (in Italia è annunciata l’uscita sotto Natale) con una formidabile Meryl Streep protagonista celebra ora questo singolare personaggio, citato spesso come la peggiore cantante della storia. Florence Foster Jenkins era nata nel 1868 a Wilkes-Barre in Pennsylvania da una famiglia benestante, che fece di tutto per ostacolare le sue smanie artistiche. Eppure, al pianoforte non doveva essere così male se è vero che si esibì pure alla Casa Bianca quando Presidente era Rutheford B. Hayes. Non la incoraggiò nemmeno il primo marito, il medico Frank Thornton Jenkins, che oltre al nome le regalò anche la sifilide, prima che lei decidesse di divorziare. Un problema al braccio le impedì di continuare nella brillante carriera pianistica riducendola praticamente in miseria, fino a quando la sua sorte cambiò dopo il trasferimento a New York, la decisione di dedicarsi al canto incoraggiata dal secondo marito St Clair Bayifield (Hugh Grant nel film), attore di scarsissimo talento («liberato dalla schiavitù dell’ambizione») e riconvertitosi a manager della moglie. Ma soprattutto nel 1909 Florence Foster Jenkins eredita le cospicue sostanze del padre che le permettono di dedicarsi completamente alla musica, diventando una generosa mecenate (nel film, appare anche un Arturo Toscanini in versione di questuante) e dando libero sfogo alle sue smanie canterine. Nonostante l’intonazione sia a dir poco incerta e manchi del tutto di senso del ritmo, si avventura un impossibile repertorio soprano di coloratura. Celebre resterà la sua avventurosa “Der Hölle Rache”, una delle sue performance più irresistibili.
Il film di Frears si sofferma sul suo ultimo anno di vita, il 1944. La donna ha 76 anni, indossa delle terribili parrucche per coprire la calvizie provocata dalle cure al mercurio per la sifilide, e non ha ancora rinunciato a esibirsi in pubblico e a animare le sgangherate soirée musicali del suo Verdi Club con Bayifield come imbonitore e lei come angelo all’argano o ridicolissima valchiria. Completamente priva di spirito critico (e in questo assecondata e protetta da Bayifield, che le nasconde le critiche più spietate oltre che la sua doppia vita), lei tenta il grande salto dai saloni del Ritz Carlton per pochi invitati ai tremila posti della Carnegie Hall. È il 25 ottobre. Nemmeno lì rinuncia a essere se stessa, con i suoi costumi esagerati (disegnati la lei stessa) e accompagnata dal pianista complice Cosmé McMoon (Simon Helberg nel film). Nel pubblico c’è qualche celebrità (nel film si vedono solo Cole Porter e Tallulah Bankhead) e molti militari, che lei stessa ha voluto per ringraziarli del loro sacrificio a difesa della libertà in Europa e nel Pacifico. Inevitabilmente scoppiano le risate quando lei intona, per così dire, “Mein Herr Marquis” e “Der Hölle Rache”. Lei è persa con il suo sguardo vuoto. St Clair Bayifield le fa credere che sia stato un grande successo e lei ci crede ancora una volta. Ma il New York Post è spietato (o forse solo sincero): Earl Wilson scrive «Uno degli scherzi di massa più tremendi che New York abbia mai visto». Se sia andata come racconta il film non si sa: lei legge quel giornale e ci resta secca, sognando il vero successo (e qui purtroppo il film scivola nel melenso). Quel che è vero è che Florence Foster Jenkins si spegne per un attacco cardiaco il 26 novembre 1944, un mese dopo quel successo di massa così tanto atteso, anche se non per quella passione autentica per la musica che animò tutta la sua vita. Florence Foster Jenkins – il trailer
Un bel film di Stephen Frears (in Italia è annunciata l’uscita sotto Natale) con una formidabile Meryl Streep protagonista celebra ora questo singolare personaggio, citato spesso come la peggiore cantante della storia. Florence Foster Jenkins era nata nel 1868 a Wilkes-Barre in Pennsylvania da una famiglia benestante, che fece di tutto per ostacolare le sue smanie artistiche. Eppure, al pianoforte non doveva essere così male se è vero che si esibì pure alla Casa Bianca quando Presidente era Rutheford B. Hayes. Non la incoraggiò nemmeno il primo marito, il medico Frank Thornton Jenkins, che oltre al nome le regalò anche la sifilide, prima che lei decidesse di divorziare. Un problema al braccio le impedì di continuare nella brillante carriera pianistica riducendola praticamente in miseria, fino a quando la sua sorte cambiò dopo il trasferimento a New York, la decisione di dedicarsi al canto incoraggiata dal secondo marito St Clair Bayifield (Hugh Grant nel film), attore di scarsissimo talento («liberato dalla schiavitù dell’ambizione») e riconvertitosi a manager della moglie. Ma soprattutto nel 1909 Florence Foster Jenkins eredita le cospicue sostanze del padre che le permettono di dedicarsi completamente alla musica, diventando una generosa mecenate (nel film, appare anche un Arturo Toscanini in versione di questuante) e dando libero sfogo alle sue smanie canterine. Nonostante l’intonazione sia a dir poco incerta e manchi del tutto di senso del ritmo, si avventura un impossibile repertorio soprano di coloratura. Celebre resterà la sua avventurosa “Der Hölle Rache”, una delle sue performance più irresistibili.
Il film di Frears si sofferma sul suo ultimo anno di vita, il 1944. La donna ha 76 anni, indossa delle terribili parrucche per coprire la calvizie provocata dalle cure al mercurio per la sifilide, e non ha ancora rinunciato a esibirsi in pubblico e a animare le sgangherate soirée musicali del suo Verdi Club con Bayifield come imbonitore e lei come angelo all’argano o ridicolissima valchiria. Completamente priva di spirito critico (e in questo assecondata e protetta da Bayifield, che le nasconde le critiche più spietate oltre che la sua doppia vita), lei tenta il grande salto dai saloni del Ritz Carlton per pochi invitati ai tremila posti della Carnegie Hall. È il 25 ottobre. Nemmeno lì rinuncia a essere se stessa, con i suoi costumi esagerati (disegnati la lei stessa) e accompagnata dal pianista complice Cosmé McMoon (Simon Helberg nel film). Nel pubblico c’è qualche celebrità (nel film si vedono solo Cole Porter e Tallulah Bankhead) e molti militari, che lei stessa ha voluto per ringraziarli del loro sacrificio a difesa della libertà in Europa e nel Pacifico. Inevitabilmente scoppiano le risate quando lei intona, per così dire, “Mein Herr Marquis” e “Der Hölle Rache”. Lei è persa con il suo sguardo vuoto. St Clair Bayifield le fa credere che sia stato un grande successo e lei ci crede ancora una volta. Ma il New York Post è spietato (o forse solo sincero): Earl Wilson scrive «Uno degli scherzi di massa più tremendi che New York abbia mai visto». Se sia andata come racconta il film non si sa: lei legge quel giornale e ci resta secca, sognando il vero successo (e qui purtroppo il film scivola nel melenso). Quel che è vero è che Florence Foster Jenkins si spegne per un attacco cardiaco il 26 novembre 1944, un mese dopo quel successo di massa così tanto atteso, anche se non per quella passione autentica per la musica che animò tutta la sua vita. Florence Foster Jenkins – il trailer
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