Tutti i suoni di Ravenna
Il primo week end del Festival che coinvolge tutta la città
Recensione
classica
L’occasione rappresentata dallo scorso “ponte” della festa della Repubblica ha assecondato la mia voglia di tornare in Romagna per seguire alcuni appuntamenti del Ravenna Festival, giunto quest’anno alla sua ventisettesima edizione. Dal ricco cartellone ho scelto quattro appuntamenti alquanto differenti tra loro ma accomunati dall’appartenenza a una manifestazione che, dopo tanti anni, è ancora capace di amalgamarsi con la città che la ospita, a giudicare dall’aria che si respira tra le strade di un centro ricco di storia e di turisti, di arte e di riferimenti al festival, comprese le occasioni musicali rappresentate dagli spettacoli mattutini dedicati a Dante che abitano gli antichi Chiostri Francescani adiacenti la tomba del Poeta, o le offerte musicali dei Vespri che dipingono di musica i sempre fascinosi mosaici della Basilica di San Vitale.
Immerso in questa atmosfera, la sera del primo giugno ho seguito il recital di Mitsuko Uchida che ha fatto risuonare tra i palchi e le poltrone del Teatro Alighieri le note del suo pianismo intenso, snodato attraverso un personale filo rosso che ha legato il mozartiano “Rondo in la minore” K511 ai due libri degli “Impromptus” di Schubert, indagandone sotterranei rimandi tra le pieghe dell’ordito armonico. Una lettura che ha illuminato le pagine schubertiane di un’espressività assieme asciutta e densa, capace di trasmettere istanti di plastica ispirazione in certi frammenti intepretativi come nel terzo improvviso “Andante mosso” del primo libro o il secondo “Allegretto” del secondo. Il giorno seguente la partitura protagonista è stata “La lontananza nostalgica utopica futura”, pagina classica di Luigi Nono che ha trovato una lettura ispirata e ispirante anche grazie alla cornice della sala del Refettorio del Museo Nazionale. In questo spazio le tracce dei nastri magnetici gestiti con cura da Francesco Giomi hanno abitato una dimensione nella quale il violino di Rephael Negri ha saputo muoversi tratteggiando i suoi interventi con misurata efficacia, passando da un leggio all’altro intrecciando il timbro del suo strumento con il controcanto diffuso dalla spazializzazione sonora.
Lo stesso contesto ha ospitato venerdì un programma compilato con stimolante varietà, aperto dalla sciarriniana “Perduto in una città d’acque”, una pagina intensa nelle cui pieghe l’interpretazione di Stefano Malferrari ha saputo indagare le sottigliezze racchiuse negli estremi timbrici della tessitura pianistica. Il brano successivo – che ha richiamato in causa l’abilità di Giomi nel gestire gli interventi di live electronics anche per i titoli seguenti - ha offerto la cifra compositiva di Michele Foresi racchiusa nella sua “Glifo”, composizione del 2014 che è apparsa come un personale compendio degli stilemi contemporanei. Di segno più miscellaneo si è rivelata “East-St.Louis Blues” di Alessandro Ratoci, giocata su un’evocazione materica di diversi rimandi stilistici presentata qui in prima esecuzione assoluta. L’ultima sera il carattere dell’offerta musicale ha ancora scartato di lato, proponendo una dimensione maggiormente popolare sia per il contesto – un Palazzo Mauro de André gremito di pubblico – sia per il repertorio nel quale la passione artistica – e anche per certi versi “didattica” – di Riccardo Muti ha condotto i ragazzi dell’Orchestra Giovanile Cherubini, chiamati a confrontarsi con pagine come il “Coriolano” e la “Quinta” di Beethoven, tra le quali è stata incastonata la Sinfonia n. 8 in si minore “Incompiuta” di Schubert. Una prova ardua, impreziosita da un lato dal sempre solido carattere interpretativo del direttore e, dall’altro, valorizzata dal bell’impegno profuso dalla compagine orchestrale, che ha raccolto i calorosi applausi che hanno salutato questa come le serate precedenti, segno della bontà di un’offerta musicale che innerva anche questa edizione del festival.
Chiudo con una breve nota di carattere personale. In passato ho avuto modo di condividere, fra i diversi interessi comuni, proprio alcune edizioni del Ravenna Festival con Vincenzo Raffaele Segreto, critico musicale che mi piace pensare un poco più che semplice collega, scomparso proprio nei giorni scorsi. A lui rimando l’iscrizione di Toledo che ha ispirato l’ultima stagione creativa di Luigi Nono: “Caminantes no hay caminos hay que caminar”. Buon cammino, buon viaggio Vincenzo.
Immerso in questa atmosfera, la sera del primo giugno ho seguito il recital di Mitsuko Uchida che ha fatto risuonare tra i palchi e le poltrone del Teatro Alighieri le note del suo pianismo intenso, snodato attraverso un personale filo rosso che ha legato il mozartiano “Rondo in la minore” K511 ai due libri degli “Impromptus” di Schubert, indagandone sotterranei rimandi tra le pieghe dell’ordito armonico. Una lettura che ha illuminato le pagine schubertiane di un’espressività assieme asciutta e densa, capace di trasmettere istanti di plastica ispirazione in certi frammenti intepretativi come nel terzo improvviso “Andante mosso” del primo libro o il secondo “Allegretto” del secondo. Il giorno seguente la partitura protagonista è stata “La lontananza nostalgica utopica futura”, pagina classica di Luigi Nono che ha trovato una lettura ispirata e ispirante anche grazie alla cornice della sala del Refettorio del Museo Nazionale. In questo spazio le tracce dei nastri magnetici gestiti con cura da Francesco Giomi hanno abitato una dimensione nella quale il violino di Rephael Negri ha saputo muoversi tratteggiando i suoi interventi con misurata efficacia, passando da un leggio all’altro intrecciando il timbro del suo strumento con il controcanto diffuso dalla spazializzazione sonora.
Lo stesso contesto ha ospitato venerdì un programma compilato con stimolante varietà, aperto dalla sciarriniana “Perduto in una città d’acque”, una pagina intensa nelle cui pieghe l’interpretazione di Stefano Malferrari ha saputo indagare le sottigliezze racchiuse negli estremi timbrici della tessitura pianistica. Il brano successivo – che ha richiamato in causa l’abilità di Giomi nel gestire gli interventi di live electronics anche per i titoli seguenti - ha offerto la cifra compositiva di Michele Foresi racchiusa nella sua “Glifo”, composizione del 2014 che è apparsa come un personale compendio degli stilemi contemporanei. Di segno più miscellaneo si è rivelata “East-St.Louis Blues” di Alessandro Ratoci, giocata su un’evocazione materica di diversi rimandi stilistici presentata qui in prima esecuzione assoluta. L’ultima sera il carattere dell’offerta musicale ha ancora scartato di lato, proponendo una dimensione maggiormente popolare sia per il contesto – un Palazzo Mauro de André gremito di pubblico – sia per il repertorio nel quale la passione artistica – e anche per certi versi “didattica” – di Riccardo Muti ha condotto i ragazzi dell’Orchestra Giovanile Cherubini, chiamati a confrontarsi con pagine come il “Coriolano” e la “Quinta” di Beethoven, tra le quali è stata incastonata la Sinfonia n. 8 in si minore “Incompiuta” di Schubert. Una prova ardua, impreziosita da un lato dal sempre solido carattere interpretativo del direttore e, dall’altro, valorizzata dal bell’impegno profuso dalla compagine orchestrale, che ha raccolto i calorosi applausi che hanno salutato questa come le serate precedenti, segno della bontà di un’offerta musicale che innerva anche questa edizione del festival.
Chiudo con una breve nota di carattere personale. In passato ho avuto modo di condividere, fra i diversi interessi comuni, proprio alcune edizioni del Ravenna Festival con Vincenzo Raffaele Segreto, critico musicale che mi piace pensare un poco più che semplice collega, scomparso proprio nei giorni scorsi. A lui rimando l’iscrizione di Toledo che ha ispirato l’ultima stagione creativa di Luigi Nono: “Caminantes no hay caminos hay que caminar”. Buon cammino, buon viaggio Vincenzo.
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