Variazioni su Romeo e Giulietta
West Side Story di Bernstein e Giulietta e Romeo di Zingarelli al Festival di Pentecoste di Salisburgo
Recensione
classica
E alla fine Salisburgo sdoganò anche il musical. È vero che West Side Story è anche altro, come anche si dice convinta Cecilia Bartoli, che ha voluto programmare il lavoro di Leonard Bernstein in apertura del suo Festival di Pentecoste, quest’anno consacrato agli amanti di Verona e relative variazioni. «I lavori per il teatro di Bernstein occupano un loro proprio territorio intermedio, che include opera, operetta e musical. Dal punto di vista stilistico, possono incorporare tendenze della musica di intrattenimento e jazz allo stesso tempo, ma anche di musica classica e contemporanea», dice la Bartoli. La distinzione suona più che altro come una preoccupazione tutta europea ma è un fatto che, nell’arco dei suoi quasi 60 anni di vita – il debutto risale al 26 settembre 1957 al Winter Garden Theatre di New York – il lavoro di Bernstein è oramai assurto a classico della musica americana del secolo scorso, con frequenti esecuzioni in forma di suite sinfonica da parte di orchestre dalla solida tradizione classica. Per non dire delle canzoni (arie?) e ensemble interpretati da cantanti lirici: fra tutte, vedasi la vecchia registrazione diretta dello stesso Bernstein con Kiri Te Kanawa, José Carreras, Tatiana Troyanos and la “guest appearance” di Marilyn Horne, belcantista d’antan che non disdegnava escursioni in repertori più leggeri nella migliore tradizione americana.
Sia come sia, lo spettacolo di Philip Wm. McKinley con coreografie di Liam Steel per la scena della Felsenreitschule non si discosta affatto dai tradizionali canoni spettacolari di Broadway, così come la monumentale scenografia in stile “street art” di George Tsypin animata dalle luci psichedeliche di Patrick Woodroffe e i costumi anni ’50 di Ann Hould-Ward. E una buona parte del cast, cioè i boys delle due bande degli Sharks (gli wasps) e dei Jets (i latinos) così come i rispettivi leaders Riff (Dan Burton) e Bernardo (George Akram) e girls al seguito, proviene direttamente dal musical. Il problema allora si pone per i due protagonisti, Tony e Maria, interpretati da Norman Reinhardt e dalla stessa Cecilia Bartoli. Il tenore americano se la cava piuttosto bene sia vocalmente che nei movimenti scenici, ma il ruolo gli risparmia comunque le acrobazia degli altri. Per la Bartoli, invece, si è fatta una scelta diversa, immaginandola come una Maria oramai adulta che rivive il suo tragico amore per Tony come in un flashback, nel quale agisce una Mary giovane (Michelle Veintimilla). Strategemma astuto che da un lato consente alla Bartoli di essere praticamente sempre in scena limitando i propri interventi ai pezzi puramente musicali, interpretati con la solita grande professionalità, e dall’altro di non modificare in maniera sostanziale la drammaturgia originale. Unica variazione è il “tragico” happy end con la morte (suicidio?) di Maria in un viadotto e il ricongiungimento con Tony nell’alto dei cieli. Nessun oltraggio a Bernstein, dunque.
Grande energia in scena e, se possibile, anche di più in buca grazie alla presenza della venezuelana Orchestra sinfonica “Simón Bolívar” con la presenza carismatica di Gustavo Dudamel sul podio. Più che l’elevata qualità della produzione, certamente molto superiore a quello che gira normalmente per Broadway, sono i ritmi frenetici e il suono brillante di quest’orchestra (superlativi trombe e ottoni) a esercitare un fascino irresistibile sul pubblico salisburghese solitamente ingessato. E anche questa volta si rinnova il successo inossidabile di questo lavoro, sicuramente destinato a ripetersi nella ripresa dello spettacolo la prossima estate nel festival maggiore.
Si cambia decisamente registro con il secondo dei titoli operstici del cartellone del festival: Giulietta e Romeo di Nicolò Zingarelli presentato in una versione concertante. Diciamolo subito: se dopo un’esecuzione come quella sentita alla Haus für Mozart quest’opera dimenticata non rientra in repertorio, allora si può dare definitivamente per spacciata, con buona pace degli epigoni Bellini e Vaccaj. Difficile mettere insieme un cast più congeniale come quello sentito a Salisburgo e trovare una direzione così sensibile alle non poche qualità della partitura di Zingarelli, straordinariamente ricca di suggestioni strumentali, apprezzabili fin dalla sinfonia in due tempi impreziosita dai preziosi interventi solistici dei legni. A voler esserer critici ci si potrebbe accanire sul libretto di Giuseppe Maria Foppa, che davvero bellissimo non è. Manca quasi del tutto il conflitto fra le due famiglie, a parte qualche generico riferimento al nemico Romeo, la love story fra Giulietta e Romeo è francamente sottotono, mentre il vero motore drammatico è il conflitto fra Giulietta e il padre Everardo Cappellio.
Drammaturgicamente è però ben congegnato e assolutamente funzionale a creare l’effetto oltre che a servire bene gli interpreti, Romeo in primo luogo (e non a caso il ruolo attirò l’attenzione di molte stelle della scena dell’epoca, come Maria Malibran per citarne una). Al suo interprete l’opportunità di mettere in luce qualità vocali ma anche interpretative è servita su un piatto d’argento nella grande scena che apre il terzo atto presso la tomba di Giulietta creduta morta: un susseguirsi incalzante di recitativi, ariosi e arie che culminano nella celebre “Ombra adorata aspetta”, che mandò in deliquio E.T.A. Hoffmann per “l’indescrivibile potere del più forte richiamo su ogni mente ricettiva”. Se nella trama strumentale si avverte più di un debito nei confronti di Mozart, in quella vocale Zingarelli si muove nella migliore tradizione del belcanto nostrano. E in tal senso è sintomatica la scelta di affidare il ruolo di Romeo al castrato Girolamo Crescentini. Per far rivivere i fasti vocali del celebre castrato a Salisburgo si è cimentato Franco Fagioli con grande e meritatissimo successo: il controtenore argentino ha messo al servizio del ruolo un organo vocale di grande plasticità e di ammirevole omogeneità timbrica nei molti registri richiesti da un’estensione non comune. Perfetto nella detta scena del terzo atto, inutile dire che il suo è stato un successo incondizionato salutato da numerosi applausi fin dalla elaboratissima cabaletta di esordio. Non meno festeggiata è stata Ann Hallenberg come Giulietta, che specialmente nelle due arie “Adora i cenni tuoi” nel primo atto e “Qual improvviso tremito!” nel secondo sfoderava il talento della autorevole barocchista nelle elaborate fioriture dei daccapo. Una felice sorpresa è il tenore Bogdan Mihai, capace di infondere a Everardo toni di aristocratica eleganza. Ottime voci anche per i tre ruoli minori Xavier Sabata (Gilberto), Juan Sancho (Teobaldo), Irini Karaianni (Matilde), cui Zingarelli riserva comunque qualche aria significativa (fra tutte, “Le stigie furie” del Teobaldo furioso con coro, cioè lo sfortunato rivale di Romeo, che scompare già nel primo atto). Buona la prova del coro. Si è già accennato all’elevatissima qualità musicale della direzione di Georges Petrou ben sostenuto dalla sua orchestra Armonia Atenea, forse un po’ leggera nella sinfonia ma agile e pienamente funzionale all’incalzante procedere drammatico imposto dal direttore nel seguito. Grande successo sancito da oltre dieci minuti di applausi e chiamate.
Sia come sia, lo spettacolo di Philip Wm. McKinley con coreografie di Liam Steel per la scena della Felsenreitschule non si discosta affatto dai tradizionali canoni spettacolari di Broadway, così come la monumentale scenografia in stile “street art” di George Tsypin animata dalle luci psichedeliche di Patrick Woodroffe e i costumi anni ’50 di Ann Hould-Ward. E una buona parte del cast, cioè i boys delle due bande degli Sharks (gli wasps) e dei Jets (i latinos) così come i rispettivi leaders Riff (Dan Burton) e Bernardo (George Akram) e girls al seguito, proviene direttamente dal musical. Il problema allora si pone per i due protagonisti, Tony e Maria, interpretati da Norman Reinhardt e dalla stessa Cecilia Bartoli. Il tenore americano se la cava piuttosto bene sia vocalmente che nei movimenti scenici, ma il ruolo gli risparmia comunque le acrobazia degli altri. Per la Bartoli, invece, si è fatta una scelta diversa, immaginandola come una Maria oramai adulta che rivive il suo tragico amore per Tony come in un flashback, nel quale agisce una Mary giovane (Michelle Veintimilla). Strategemma astuto che da un lato consente alla Bartoli di essere praticamente sempre in scena limitando i propri interventi ai pezzi puramente musicali, interpretati con la solita grande professionalità, e dall’altro di non modificare in maniera sostanziale la drammaturgia originale. Unica variazione è il “tragico” happy end con la morte (suicidio?) di Maria in un viadotto e il ricongiungimento con Tony nell’alto dei cieli. Nessun oltraggio a Bernstein, dunque.
Grande energia in scena e, se possibile, anche di più in buca grazie alla presenza della venezuelana Orchestra sinfonica “Simón Bolívar” con la presenza carismatica di Gustavo Dudamel sul podio. Più che l’elevata qualità della produzione, certamente molto superiore a quello che gira normalmente per Broadway, sono i ritmi frenetici e il suono brillante di quest’orchestra (superlativi trombe e ottoni) a esercitare un fascino irresistibile sul pubblico salisburghese solitamente ingessato. E anche questa volta si rinnova il successo inossidabile di questo lavoro, sicuramente destinato a ripetersi nella ripresa dello spettacolo la prossima estate nel festival maggiore.
Si cambia decisamente registro con il secondo dei titoli operstici del cartellone del festival: Giulietta e Romeo di Nicolò Zingarelli presentato in una versione concertante. Diciamolo subito: se dopo un’esecuzione come quella sentita alla Haus für Mozart quest’opera dimenticata non rientra in repertorio, allora si può dare definitivamente per spacciata, con buona pace degli epigoni Bellini e Vaccaj. Difficile mettere insieme un cast più congeniale come quello sentito a Salisburgo e trovare una direzione così sensibile alle non poche qualità della partitura di Zingarelli, straordinariamente ricca di suggestioni strumentali, apprezzabili fin dalla sinfonia in due tempi impreziosita dai preziosi interventi solistici dei legni. A voler esserer critici ci si potrebbe accanire sul libretto di Giuseppe Maria Foppa, che davvero bellissimo non è. Manca quasi del tutto il conflitto fra le due famiglie, a parte qualche generico riferimento al nemico Romeo, la love story fra Giulietta e Romeo è francamente sottotono, mentre il vero motore drammatico è il conflitto fra Giulietta e il padre Everardo Cappellio.
Drammaturgicamente è però ben congegnato e assolutamente funzionale a creare l’effetto oltre che a servire bene gli interpreti, Romeo in primo luogo (e non a caso il ruolo attirò l’attenzione di molte stelle della scena dell’epoca, come Maria Malibran per citarne una). Al suo interprete l’opportunità di mettere in luce qualità vocali ma anche interpretative è servita su un piatto d’argento nella grande scena che apre il terzo atto presso la tomba di Giulietta creduta morta: un susseguirsi incalzante di recitativi, ariosi e arie che culminano nella celebre “Ombra adorata aspetta”, che mandò in deliquio E.T.A. Hoffmann per “l’indescrivibile potere del più forte richiamo su ogni mente ricettiva”. Se nella trama strumentale si avverte più di un debito nei confronti di Mozart, in quella vocale Zingarelli si muove nella migliore tradizione del belcanto nostrano. E in tal senso è sintomatica la scelta di affidare il ruolo di Romeo al castrato Girolamo Crescentini. Per far rivivere i fasti vocali del celebre castrato a Salisburgo si è cimentato Franco Fagioli con grande e meritatissimo successo: il controtenore argentino ha messo al servizio del ruolo un organo vocale di grande plasticità e di ammirevole omogeneità timbrica nei molti registri richiesti da un’estensione non comune. Perfetto nella detta scena del terzo atto, inutile dire che il suo è stato un successo incondizionato salutato da numerosi applausi fin dalla elaboratissima cabaletta di esordio. Non meno festeggiata è stata Ann Hallenberg come Giulietta, che specialmente nelle due arie “Adora i cenni tuoi” nel primo atto e “Qual improvviso tremito!” nel secondo sfoderava il talento della autorevole barocchista nelle elaborate fioriture dei daccapo. Una felice sorpresa è il tenore Bogdan Mihai, capace di infondere a Everardo toni di aristocratica eleganza. Ottime voci anche per i tre ruoli minori Xavier Sabata (Gilberto), Juan Sancho (Teobaldo), Irini Karaianni (Matilde), cui Zingarelli riserva comunque qualche aria significativa (fra tutte, “Le stigie furie” del Teobaldo furioso con coro, cioè lo sfortunato rivale di Romeo, che scompare già nel primo atto). Buona la prova del coro. Si è già accennato all’elevatissima qualità musicale della direzione di Georges Petrou ben sostenuto dalla sua orchestra Armonia Atenea, forse un po’ leggera nella sinfonia ma agile e pienamente funzionale all’incalzante procedere drammatico imposto dal direttore nel seguito. Grande successo sancito da oltre dieci minuti di applausi e chiamate.
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