Viva gli europei

Quattro motivi per dire sì ai 20 nuovi direttori di museo

Recensione
classica
È meglio rischiare imboccando una strada nuova, se quella vecchia è ormai una palude, Quindi, viva i direttori europei se minano le rendite di posizione e le inefficienze di chi ha gestito la cultura in Italia fino ad oggi. La polemica attecchita attorno alla nomina dei nuovi 20 direttori di altrettanti musei italiani profuma decisamente dell’aria fiacca di quest’agosto appena concluso. Stimola quindi quella passione indolente che muove gli animi molli, le aspirazioni represse e gli interessi frustrati. Se non si fosse capito (lo rendo esplicito, non si sa mai…), non condivido affatto la “viva e vibrante” indignazione espressa da alcuni politici e intellettuali italici nei confronti delle nomine di questi nuovi direttori, “ben sette” dei quali non italiani. I motivi a mio avviso sono 4 e molto semplici (quindi non “politici”, la politica non è mai semplice).

Primo. Dall’11° rapporto annuale di Federculture, presentato lo scorso 8 luglio, emerge che se da un lato “aumentano nel 2014 coloro che frequentano il teatro +2,2%, il cinema +1,7%, e quelli che visitano musei e mostre +7,7%”, dall’altro si rilevano ancora dati negativi come “il calo i lettori, -3,7% e quelli relativi all’astensione culturale che dimostrano come in molte aree del Paese l’80% dei cittadini non metta mai piede a teatro o non entri mai in un museo”. L’80% dei cittadini italiani che non hanno mai messo piede nei nostri teatri e musei è il risultato della gestione della classe dirigente (italiana) attiva fino ad ora.

Secondo. I profili dei 20 nuovi direttori sono stati scelti attraverso un concorso che, come tutti i meccanismi di selezione, sarà sicuramente perfettibile, ma almeno pone l’attenzione sulle esperienze maturate (e le distoglie dalle conoscenze coltivate). Poi, se qualcuno di questi 20 non funziona tra 4 anni lo possiamo comunque cambiare.

Terzo: I sette “non italiani”, inoltre, sono comunque europei (per i pignoli, James Bradburne è nato in Canada, ma cittadino britannico). Qui si tratta di scegliere ancora una volta quale Europa si vuole: quella solo monetaria (ormai un poco asfittica) oppure quella politica e culturale. Anche perché l’Europa culturale sta progredendo comunque – nonostante la latitanza di quella politica –, a giudicare dalle personalità alla guida delle più importanti istituzioni: penso per esempio a professionisti italiani come Gabriele Finaldi direttore della National Gallery o – spostandoci dalla cultura alla scienza (che sempre cultura rimane…) – come Fabiola Gianotti, che sarà il nuovo direttore generale del Cern dal 2016.

Quarto. A proposito poi dei funzionari, dirigenti ed esperti italiani che sarebbero stati “danneggiati” da queste scelte, ricordo un rapporto dalla Eenc (la Rete europea degli esperti sulla cultura) di un paio di anni fa – che ha pesato però sulla stesura del bilancio Ue 2014-2020 ora in vigore – nel quale si leggeva che l’Italia «non ha una strategia nazionale, per quanto generale o provvisoria, per lo sviluppo del suo settore culturale e creativo». «Il principale ostacolo a una svolta – prosegue il rapporto – è la tendenza della dirigenza politica italiana a usare la cultura per la creazione di rendite di posizione», costituendo «sacche di privilegi ed inefficienza nei settori culturali». Forse è questa la chiave di lettura più efficace per interpretare questa stanca polemica estiva.

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