Nielsen a chilometro zero
I 150 anni del compositore ricordati al Teatro Reale di Copenhagen con le sue due opere
Recensione
classica
Praticamente contemporaneo di Richard Strauss (ma assai meno longevo), Carl Nielsen nel 150° anniversario della nascita rischiava di passare sotto silenzio se non fosse che gli scandinavi alle proprie glorie nazionali tengono molto. Noto soprattutto per le sinfonie e la musica strumentale, è la significativa ma limitata produzione operistica di Carl Nielsen l’oggetto principale delle celebrazioni riservate dal Teatro Reale di Copenhagen, nella cui orchestra Nielsen servì a lungo come violinista di fila. Proprio quel teatro tenne a battesimo le uniche due incursioni nel genere del compositore: “Maskarade” e “Saul e David”. Abbandonata da tempo la storica sala nella centralissima Kongens Nytorv, riservata principalmente alla danza, cornice degli eventi è stato l’arioso Teatro dell’Opera, il costosissimo regalo dell’armatore Arnold Mærsk McKinney Møller al suo paese, progettato da Henning Larsen, che proprio in questa stagione festeggia i primi dieci anni di attività.
Lotta di classe in maschera
Pubblico folto e aria di festa per il ritorno della popolare, almeno in patria, “Maskarade” nell’ancora apprezzatissima allestimento firmato da Kasper Holten nel 2006 con le scene contemporanee di Marie í Dali, praticamente uno showcase del design danese stile vetrina di Illums Bolighus, la Rinascente locale. Sorvolando sulle tensioni sociali che affiorano qua e là nel testo (“Lavoriamo quasi come schiavi per non morire di fame. Però, quando passa il turbinio di colori che il Carnevale con sé porta, il più ricco dei signori è unito al più povero dei mendicanti in libertà e uguaglianza”, spiega lo scaltro valletto Hendrik, sorta di Figaro in salsa danese), del plot immaginato nel 1724 da Ludvig Holberg, il Molière danese, rimane soprattutto l’irresistibile commedia degli equivoci che si scioglie nella festa di gusto circense della festosa sarabanda del terzo atto. “Perché la vita è una stella fugace”, come chiosa il coro nel finale, e la morte è sempre lì in agguato (siamo pur sempre nella luteranissima Danimarca!). Gran divertimento in sala così come sulla scena grazie a una compagnia di interpreti “della casa” ben rodati e perfettamente calati nei rispettivi ruoli: da Henning von Schulman e Gert Henning-Jensen, il servo Henrik e l’impenitente padrone Leander, alla coppia dei genitori Petri Lindroos e Hanne Fischer, il severo Jeronimus e la stagionata “casalinga disperata” Magdelone, e giù fino a tutti gli altri.
Il re non sta troppo bene
Solo quattro anni separano “Maskarade” dalla precedente “Saul og David”, ma per ispirazione e tono sono davvero agli antipodi: spigliata e ammiccante la prima, severa e quasi solenne la seconda. L’iniziale sostegno di Re Saul al pastore Davide che l’invida muta in odio è soggetto biblico spesso trattato in vari secoli di storia della musica. Nielsen ne fa un grand opéra ad alta temperatura drammatica, in bilico fra oratorio, con corposissimi interventi del coro, e il melodramma verdiano, con quel Saul “bipolare” imparentato spiritualmente a Nabucco e una strega di Endor che sembra un incrocio fra Ulrica e Azucena, con qualche deriva pucciniano (si ascolti l’enfatico duettone amoroso fra Davide e Michal). Praticamente tutti danesi gli interpreti con l’unica eccezione del regista, il britannico David Pountney, non nuovo comunque al mondo di Nielsen: sua la regia di “Maskarade” nel 2003, che tenne a battesimo la sua decennale gestione artistica del Festival di Bregenz. Regia discretamente politica con qualche inevitabile strizzata d’occhio all’attualità in quelle facciate di cemento sbrecciato che fan pensare a una storia di dispute infinite che dal Libro di Samuele continuano anche oggi (che pensare di quello spettro di Samuele che spinge a terra il Davide trionfante nell’immagine finale?). Ovviamente nelle preferenze del pubblico il coro (splendido) dell’Opera reale fa la parte del leone, ma anche gli interpreti, anche in questo caso tutti della compagine locale, sono festeggiatissimi: Johan Reuter, tormentato Saul, Niels Jørgen Riis, David spavaldo come un Siegfried mediorientale, ma anche Michael Kristensen, mite Jonathan, Ann Petersen, appassionata Mikal, e Morten Staugaard, terribilissimo Samuel. Dalla buca Michael Schønwandt pilota con perizia l’impresa. Per Nielsen una festa di compleanno riuscita che, c’è da scommetterci, darà a lungo i suoi frutti.
Lotta di classe in maschera
Pubblico folto e aria di festa per il ritorno della popolare, almeno in patria, “Maskarade” nell’ancora apprezzatissima allestimento firmato da Kasper Holten nel 2006 con le scene contemporanee di Marie í Dali, praticamente uno showcase del design danese stile vetrina di Illums Bolighus, la Rinascente locale. Sorvolando sulle tensioni sociali che affiorano qua e là nel testo (“Lavoriamo quasi come schiavi per non morire di fame. Però, quando passa il turbinio di colori che il Carnevale con sé porta, il più ricco dei signori è unito al più povero dei mendicanti in libertà e uguaglianza”, spiega lo scaltro valletto Hendrik, sorta di Figaro in salsa danese), del plot immaginato nel 1724 da Ludvig Holberg, il Molière danese, rimane soprattutto l’irresistibile commedia degli equivoci che si scioglie nella festa di gusto circense della festosa sarabanda del terzo atto. “Perché la vita è una stella fugace”, come chiosa il coro nel finale, e la morte è sempre lì in agguato (siamo pur sempre nella luteranissima Danimarca!). Gran divertimento in sala così come sulla scena grazie a una compagnia di interpreti “della casa” ben rodati e perfettamente calati nei rispettivi ruoli: da Henning von Schulman e Gert Henning-Jensen, il servo Henrik e l’impenitente padrone Leander, alla coppia dei genitori Petri Lindroos e Hanne Fischer, il severo Jeronimus e la stagionata “casalinga disperata” Magdelone, e giù fino a tutti gli altri.
Il re non sta troppo bene
Solo quattro anni separano “Maskarade” dalla precedente “Saul og David”, ma per ispirazione e tono sono davvero agli antipodi: spigliata e ammiccante la prima, severa e quasi solenne la seconda. L’iniziale sostegno di Re Saul al pastore Davide che l’invida muta in odio è soggetto biblico spesso trattato in vari secoli di storia della musica. Nielsen ne fa un grand opéra ad alta temperatura drammatica, in bilico fra oratorio, con corposissimi interventi del coro, e il melodramma verdiano, con quel Saul “bipolare” imparentato spiritualmente a Nabucco e una strega di Endor che sembra un incrocio fra Ulrica e Azucena, con qualche deriva pucciniano (si ascolti l’enfatico duettone amoroso fra Davide e Michal). Praticamente tutti danesi gli interpreti con l’unica eccezione del regista, il britannico David Pountney, non nuovo comunque al mondo di Nielsen: sua la regia di “Maskarade” nel 2003, che tenne a battesimo la sua decennale gestione artistica del Festival di Bregenz. Regia discretamente politica con qualche inevitabile strizzata d’occhio all’attualità in quelle facciate di cemento sbrecciato che fan pensare a una storia di dispute infinite che dal Libro di Samuele continuano anche oggi (che pensare di quello spettro di Samuele che spinge a terra il Davide trionfante nell’immagine finale?). Ovviamente nelle preferenze del pubblico il coro (splendido) dell’Opera reale fa la parte del leone, ma anche gli interpreti, anche in questo caso tutti della compagine locale, sono festeggiatissimi: Johan Reuter, tormentato Saul, Niels Jørgen Riis, David spavaldo come un Siegfried mediorientale, ma anche Michael Kristensen, mite Jonathan, Ann Petersen, appassionata Mikal, e Morten Staugaard, terribilissimo Samuel. Dalla buca Michael Schønwandt pilota con perizia l’impresa. Per Nielsen una festa di compleanno riuscita che, c’è da scommetterci, darà a lungo i suoi frutti.
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