Compositore, divulgatore, instancabile "agitatore" culturale, Carlo Boccadoro è uno dei musicisti che con maggior ostinata naturalezza si muove attraverso i generi e i linguaggi, in un rifiuto di quelle convenzioni che spesso impediscono una più ampia e consapevole fruizione delle sonorità del contemporaneo.
Grande conoscitore del jazz (ha anche pubblicato qualche anno fa per Einaudi una stimolante quanto personale guida ai dischi da avere), Boccadoro sarà tra i protagonisti di uno degli appuntamenti più attesi della rassegna Aperitivo in Concerto, a Milano.
Domenica 8 marzo alle 11 infatti, lo troveremo alla guida dell'ensemble Sentieri Selvaggi in un incontro con il quartetto Snakeoil guidato dall'altosassofonista Tim Berne, un'occasione davvero preziosa per mettere a confronto forme e modalità del comporre e dell'improvvisare.
Lo abbiamo incontrato per farci raccontare questo progetto, nonché alcune delle tante avventure in cui è coinvolto.
Partiamo dall'appuntamento di Aperitivo in Concerto, con Sentieri Selvaggi che dialogheranno con gli Snakeoil di Tim Berne. Vorrei chiederti innanzitutto quali sono le cose che ti colpiscono nella scrittura di Berne e come hai lavorato alla riscrittura di alcune composizioni?
«La musica di Tim Berne è difficilmente definibile. Viene etichettata come jazz, ma in realtà è molto più vicina alla musica contemporanea, pur possedendo un notevole tasso di improvvisazione collettiva. A volte sembra di ascoltare pagine di Donatoni o dell'ultimo Stockhausen. Questo "sconfinare" tra linguaggi diversi eppure egualmente complessi mi ha affascinato fin dal primo ascolto dell'album di Snakeoil; così quando Gianni Gualberto , direttore artistico di Aperitivo in Concerto mi ha chiesto con chi volessi lavorare su un progetto che comprendesse composizione e improvvisazione, ho subito pensato a loro».
In realtà del repertorio di Berne ho realizzato solo un brano, "Cornered (Duck)", sul quale ho utilizzato interventi di natura aleatoria che colorano le strutture originali composte da Berne, il resto del lavoro è stata la composizione di una partitura di grandi dimensioni (una trentina di minuti) intitolata "Snakes", che unisce i musicisti di Snakeoil con quelli di Sentieri Selvaggi e nella quale, all'interno di sezioni completamente scritte, si trovano momenti in cui i musicisti possono improvvisare».
Quali sono, oltre a quello di Berne, altri gruppi della scena "jazzistica" di oggi che ti sembrano particolarmente interessanti dal punto di vista del rapporto tra composizione e improvvisazione?
«Ho amato molto il lavoro di Butch Morris, che mi pare ancora uno degli esempi più alti di questa ricerca tra scrittura totale e libertà esecutiva. Tra i musicisti in attività direi che il lavoro di Piero Bittolo Bon con i suoi vari progetti, da Jump the Shark a Massabon e Rollerball, si muove su livelli di assoluta eccellenza».
È da poco uscito il tuo disco Time Travel, per la Sony Classics. Un disco che raccoglie tue composizioni di quasi un ventennio, dal 1992 al 2011, per orchestra da camera. Che effetto ti ha fatto ritrovare e riprende in mano composizioni di qualche tempo fa?
«Alcune di quelle partiture risalgono a 25 anni fa e registrandole mi sembrava di dirigere musiche scritte da un'altro autore, tale è la diversità stilistica rispetto a quello che scrivo oggi.
Allo stesso tempo sono stato molto contento di rilevare una "professionalità" di scrittura che per me è sempre stata (ed è tuttora) molto importante; non ci sono errori dal punto di vista tecnico, tutto suona bene e pur essendo queste le mie prime partiture orchestrali sono prive di dilettantismi. Chiaramente mi sento più vicino ai lavori di scrittura recente, ma fare questo viaggio cronologico è stato una bellissima esperienza».
Ricevi sempre molte commissioni. Ti va di raccontarci quelle più prossime e come vanno a stimolare la tua curiosità di compositore?
«Attualmente sto lavorando a un brano per grande orchestra commissionato dall'Orchestra Verdi di Milano, che verrà eseguito da John Axelrod nell'ottobre di quest'anno, poi metterò mano a un'opera da camera su libretto di Cecilia Ligorio, commissionata da Gianandrea Noseda per le Settimane Musicali di Stresa, in cui si parlerà delle tre figlie di Re Lear; andrà in scena nell'Agosto del 2016.
Successivamente scriverò un brano per l'Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano che verrà diretto da James MacMillan e infine ho un'altro grande progetto orchestrale sul quale però ancora mi taccio per scaramanzia. Ogni commissione è una sfida diversa, sembra banale dirlo ma è proprio così. Problemi sempre nuovi da affrontare, confrontarsi con generi e forme diverse... è il bello di questo mestiere!».
Torniamo a Sentieri Selvaggi, quali sono i progetti del futuro immediato e come sta procedendo l'attività dell'ensemble? «A fine febbraio è iniziato il nostro diciassettesimo Festival, intitolato Tempi Moderni, che proseguirà sino a maggio. Essere in grado ogni anno di poter realizzare una rassegna che comprenda sei concerti è un'impresa titanica con la situazione attuale, ma fortunatamente siamo ancora qui e presenteremo musiche di autori come sempre diversissimi stilisticamente, da Filidei e Boulez a Kernis, Cardew, Reich, Antonioni, D'Amico, Cacciatore e moltissimi altri. Il gruppo è in grande forma, abbiamo appena pubblicato un nuovo album dal vivo per l'etichetta A Simple Lunch di Bologna e contiamo di realizzare numerosi progetti.
Insieme al Divertimento Ensemble, poi, abbiamo organizzato un grande concorso di Composizione per EXPO 2015, dove 50 autori provenienti da tutto il mondo scriveranno per noi e verranno eseguiti per due mesi al Padiglione Italia. Alla crisi bisogna rispondere con le idee e l'entusiasmo».
Venendo alla tua attività di divulgatore, mi incuriosisce chiederti quali sono secondo te oggi le principali difficoltà che si incontrano nell'avvicinare nuovi ascoltatori a quell'approccio musicale ampio e onnivoro che emerge dal tuo percorso artistico.
«Non ho mai incontrato particolari difficoltà, l'unico modo di far conoscere la musica di oggi è proporla spesso, il più possibile, anche attraverso conferenze e ascolti guidati. In questo modo anche il pubblico meno avvezzo ad ascoltarla troverà familiarità con questi linguaggi, che sono certamente diversi da quelli proposti dal mercato culturale dominante, decisamente di stampo conservatore».
In questo periodo sta uscendo anche una nuova edizione del tuo libro Musica Coelestis, questa volta per Il Saggiatore. Ci saranno degli aggiornamenti rispetto alla prima edizione? Se potessi scriverne un sequel, che artisti ti piacerebbe intervistare oggi?
«Il libro è lo stesso, ho solo scritto una nuova prefazione e aggiornato completamente la discografia, che in 15 anni si era modificata parecchio. Inoltre per gli ascolti dei brani non c'è un cd come nella vecchia edizione Einaudi, ma si potrà scaricare direttamente la musica da Internet.
Non mi piacciono i sequel quindi non credo ne scriverò uno, certo ci sono moltissimi compositori interessanti con cui sarebbe bello poter chiacchierare, da George Frederic Haas a Michael Gordon e Andres Hillborg, comprendendo amici italiani come Mauro Montalbetti, Giorgio Colombo Taccani, Luca Francesconi, Ivan Fedele, Fabio Vacchi, Francesco Antonioni, Matteo Franceschini e molti altri. Gli autori che mi piacciono sono troppi, verrebbe fuori un libro di 5000 pagine e non ho più l'età per affrontare un'impresa del genere!»