Bombino
Azel
Partisan Records
Avevamo incontrato e intervistato Bombino un paio di anni fa, di passaggio per una delle moltissime date di presentazione del suo Nomad, il disco prodotto da Dan Auerbach dei Black Keys, il secondo nella discografia ufficiale/occidentale del chitarrista tuareg di Agadez e quello che gli ha regalato la vera fama internazionale.
Fra allora e oggi, Bombino ha attaccato il jack della sua chitarra sui palchi dei maggiori festival internazionali, in Europa e negli Usa. Solo in Italia – caso più unico che raro per il nostro Paese – i suoi concerti hanno toccato la ragguardevole cifra di (uno più uno meno) settanta. Un numero che pochi raggiungono, anche fra gli artisti di prima fascia nati da questo lato del Mediterraneo. Nel mezzo, anche una collaborazione con Jovanotti, e varie uscite sulla tv di pubblica. In Italia tornerà da maggio all'estate (prima data il 15 per Fabbrica Europa a Firenze).
Per questo nuovo lavoro il chitarrista di Agadez è finito nelle mani di Dave Longstreth dei Dirty Projectors, suo fan della prima ora e esempio vivente /anche nella sua produzione di musicista) di come una certa scena hip americana guardi alle sonorità dell’Africa (soprattutto) sahariana. Ciò nonostante, il tocco di Longstreth non porta il sound di Bombino in direzioni particolarmente nuove o alternative, e rispetta con classe quanto fatto dai suoi predecessori – forse, addolcendo appena di qualche tacca quel massimalismo nella produzione delle chitarre che è il marchio di fabbrica di Auerbach, e che ha contribuito al successo di Nomad.
Azel, in effetti, realizza perfettamente quello che promette, e non è cosa da poco: le chitarre suonano benissimo, la mano di Bombino non tradisce le sue influenze originali (da lui stesso dichiarate, che vanno da Marc Knopfler a Hendrix) e il tutto spesso sembra far trapelare una grande solarità, una serenità musicale rilassata su un groove elastico (c’è evidente un elemento reggae, che emerge però meglio nel live). Si ha persino l’impressione che tutta la narrazione del Bombino profugo, dell’infanzia in povertà, della “preoccupazione per l’identità minacciata” dei tuareg nel “mondo contemporaneo” (che è nel comunicato stampa e in ogni articolo fino ad ora uscita sul chitarrista) poco aggiunga all’arte e alla tecnica di questo musicista "world".
A questa narrazione, probabilmente, si deve anche il successo di Bombino nel mondo: come se il rock, per esistere ancora così, senza tanti fronzoli e con la patina di una qualche “autenticità” (fra virgolette) dovesse per forza raccontarsi delle storie nuove e interessanti. Che vi serva il contesto per apprezzarlo, o che vi bastino i suoni cristallini delle chitarre, i brillanti cambi di tempo, le belle voci di Bombino e dell'ospite "Mahassa" Walet Amoumene delle Tartit, o la ritmica sciolta e sinuosa, Azel rimane un gran bel disco.
Foto di Ron Wyman