L'Orchestre de Paris, diretta da Paavo Järvi, all'Hotel Emirates Palace di Abu Dhabi
Una parte considerevole della programmazione dell'Abu Dhabi Festival 2016 è stata dedicata alla Francia, con la rilevante partecipazione, come ospite, dell'Orchestre de Paris, in una due giorni con una programmazione di grandi effetti, con ovviamente un repertorio prevalentemente d'oltralpe: Ouverture “Le corsaire” di Berlioz, concerto per violoncello di Lalo (solista Xavier Phillips), Concerto n. 3 di Saint-Saens, quindi il Concerto per violino di Caikovskij (solista Sergey Khachatryan), la Seconda Sinfonia di Sibelius e l'ouverture “La sposa venduta” di Smetana. Commentiamo il programma insieme al direttore, l'estone Paavo Järvi, dal 2010 alla guida dell'orchestra francese, proveniente, tra le altre, dalla conduzione della Deutsche Kammerphilarmonie.
Cominciamo a guardare alle ouvertures, “Le corsaire” di Berlioz e “La sposa venduta” di Smetana, considerando l'efficacia di presentare lavori densi di virtuosismo orchestrale.
«C'è sempre una concezione abbastanza standardizzata di programmazioni sinfoniche che alcuni considerano noiose: ouvertures, concerti, sinfonie... Personalmente penso sia estremamente utile iniziare un concerto con un pezzo che consenta all'orchestra di suonare nel modo il più aperto possibile, non necessariamente con lo scopo di mettere in mostra il virtuosismo: pezzi, come le ouvertures che presentiamo, fanno riscaldare l'orchestra e fanno entrare i musicisti nello spirito del concerto. Spesso, se si inizia con una sinfonia, non si è pronti per affrontarla nella maniera giusta. C'è quindi una motivazione molto pratica per iniziare con una ouverture, e se scegli quella giusta si può dare al pubblico una sponda per inserirsi in maniera congeniale in un determinato clima».
C'è quindi una svolta, un cambio di attitudine nel passaggio al repertorio più propriamente francese?
«Lalo, Berlioz e Saint-Saens sono i grandi del repertorio romantico francese. La mia idea molto semplice era portare ad Abu Dhabi un programma francese eseguito da un'orchestra francese, con una compagine che ha maturato una capacità specifica in questo repertorio. Arrivato a Parigi ho compreso che esiste una specificità che la distingue dalle altre orchestre, nell'affrontare questa musica, un'attitudine particolare per la sfumatura, per certe finezze: qualcosa che è insito nella cultura di questo popolo. E per me, perlomeno, è stata un'esperienza straordinaria poter cogliere direttamente questi aspetti».
Abbiamo poi un secondo programma rivolto ai compositori slavi e nordici, complesso e articolato
«Certo con Sibelius entriamo in un clima più 'nazionalista'. Io sono estone: Estonia e Finlandia sono molto vicine ed io sento Sibelius molto in sintonia con me e con la mia cultura. Io ho cercato di portare in Francia un po' di repertorio nordico: ho infatti appena finito di registrare con l'Orchestre di Paris un ciclo di tutte le sinfonie di Sibelius. E' la prima volta che si fa con un'orchestra francese!».
Ci può parlare della sua precedente esperienza direttoriale in Germania?
«Ho avuto un rapporto ventennale con la Deutsche Kammerphilarmonie, che ha una struttura e un'organizzazione straordinarie, interamente autogestita. Eravamo sempre concentrati in progetti molto specifici: per 10 anni ho diretto solo Beethoven, registrando tutto il ciclo delle sinfonie, quindi per tre quattro anni solo con Schumann, per poi passare al ciclo di Brahms: un metodo di lavoro molto concentrato su una sola linea, sulla lettura dell'opera di un compositore».
Quale il suo approccio con il repertorio novecentesco e contemporaneo?
«Ho fatto moltissima musica del XX secolo, sia a Parigi che in Germania e ne ho registrata parecchia. La mia filosofia rispetto alla nuova musica è volta ad incoraggiare i compositori del luogo in cui operi: io sento molto la responsabilità di portare avanti compositori francesi, perché hanno bisogno di essere eseguiti e spesso le orchestre francesi li trascurano quando in realtà essi hanno bisogno di maggiori opportunità: dobbiamo essere consapevoli di questo! In Germania mi sono occupato spesso prime esecuzioni di compositori come Whitman, Wolgang Rhim, Kagel; così in Francia negli ultimi sei anni, con prime esecuzioni di autori come Karol Beffa, e poi ovviamente di Messiaen, Dutilleux. Ma quella che io considero molto importante come missione, se posso dire così, è quella di diffondere e far conoscere al mondo la musica contemporanea del mio paese. Io, come direttore ospite, sono stato a Vienna, Berlino, New York: sono uno dei pochi che vengono dall'Estonia, per cui sento forte questo compito! Infatti pur essendo, il nostro, un piccolo stato, abbiamo un gran numero di compositori molto buoni: il più celebre Arvo Pärt, quindi Eduard Tubin, Veljo Tormis, Erkki-Sven Tüür, Lepo Sumera, tutti autori che io io cerco di far eseguire il più possibile».
Commentiamo quindi con il solista, l'organista e compositore Thierry Escaich, il pezzo che conclude il programma del concerto con la Sinfonia n. 3 di Saint-Saens, la cosiddetta Sinfonia per organo, l'ultima del compositore francese, che dedicò a Franz Liszt e quindi il repertorio e la scrittura per questo strumento.
«E' un pezzo molto interessante: è la prima volta nella storia che si ha una connessione tra l'organo e l'orchestra, un pezzo ricchissimo di relazioni sonore tra la massa orchestrale e l'organo. Fu composto al Conservatorio di Parigi alla fine del XIX secolo. Io attualmente insegno al Conservatorio di Parigi e, per varie ragioni, sento molte relazioni di vicinanza con Saint-Saens».
Per quali ragioni?
«Mah è curioso: sono organista titolare nella chiesa di St Étienne-du-Mont, Saint-Saens era anch'egli organista titolare nella chiesa della Madaleine a Parigi, entrambi compositori, concertisti, insegnanti... inoltre a me piace tantissimo accompagnare film muti: anche Saint-Saens lo faceva! E' stato un grande ispiratore della musica francese. Inoltre l'improvvisazione: anche per lui la connessione tra l'improvvisazione e la composizione era molto importante».
Quale per lei la relazione composizione/improvvisazione?
«Quando compongo cerco di riprodurre quella libertà che ho nell'improvvisazione, cercando di trasmetterla nella composizione. Al contrario quando improvviso cerco di conferire una struttura a ciò che suono. Penso che la connessione tra improvvisazione e composizione sia una delle migliori tendenze che si siano manifestate nella storia della musica francese: oltre che in Saint-Saens la possiamo individuare in un arco di autori che vanno da Couperin a Messiaen».
Strumento antico ed ecclesiastico per eccellenza, l'organo, come si colloca nella sensibilità contemporanea? «Sì, l'organo è uno strumento molto antico, ma io penso che possiamo portare avanti e proseguire tutta una tradizione che deriva da Messiaen e Duruflé. Quando compongo per organo, cerco ti trovare nuovi colori e di scrivere in maniera molto 'ritmica': per me è molto importante, per progredire nella scrittura per questo strumento. Per esempio ho composto molti brani per organo e orchestra, ma anche con le percussioni: non è solo uno strumento per la chiesa. Possiamo inserirlo in un ensemble cameristico o in contesti diversi. Ad esempio ho fatto delle cose in collaborazione con Richard Galliano: abbiamo suonato insieme dei tanghi e improvvisato».
Lei suona anche jazz?
«Improvviso ma non sono un buon jazzista. Quando suono con Richard Galliano è per me una buona opportunità, perché mi dà la possibilità di andare oltre il mio stile».
Ci può dire qualcosa in più sull'improvvisazione per organo e sulla sua pratica? lei è celebre per alcune sue lunghe performances di improvvisazione.
«In Francia abbiamo questa tradizione di improvvisazione: nella stessa liturgia cattolica, nella messa, abbiamo ampi spazi per improvvisare, nell'offertorio, alla comunione...».
Con quale stile?
«Nella chiesa dove lavoro, St Étienne-du-Mont, la chiesa dove suonò Maurice Duruflé (a cui io sono succeduto), la scorsa settimana ad esempio, durante la messa, ho improvvisato in diversi stili, in stile barocco, in stile romantico, il mio stile 'grande toccata'. Normalmente in Francia ci colleghiamo alla tradizione della musica sinfonica dell'inizio del XX secolo, Ravel, Duruflé, Debussy, Messiaen, con una mescolanza di stili. Quindi, io personalmente cerco di andare oltre, nella direzione di una ricerca ritmica. Quando improvviso mi avvicino molto a Stravinskij e a Bartok, non esitando a dare sostanza ritmica al mio lavoro. Per me improvvisare è un importante laboratorio compositivo, per la ricerca nuovi colori, di nuove mescolanze».
Scrive anche per altri strumenti?
«Proprio in questo periodo sto portando a termine un pezzo per orchestra per la Cincinnati Orchestra. Ma non dimentico mai di essere un organista: ho inserito un corale luterano, mescolando diversi corali e, anche nell'orchestrazione, non posso fare a meno di rivelare le mie origini: ci sono parti orchestrali che suonano esattamente come un grande organo. C'è sempre una connessione con la composizione organistica nel mio stile e nel mio approccio a cui non posso rinunciare».