In Italia il suo nome è ancora poco conosciuto, cosa che non dovrebbe molto stupire, data la cronica scarsa propensione di molti organizzatori a curiosare oltre la cerchia dei soliti noti o di chi arriva bello impacchettato in un tour. Ma sulla scena europea più attenta ai fermenti creativi, della portoghese Susana Santos Silva (www.susanasantossilva.com) si sente già parlare da qualche anno, da quando, complice la sempre propositiva etichetta Clean Feed, la sua curiosità musicale (mi piace definire così la sua cifra espressiva) si è fatta conoscere a un numero più ampio di ascoltatori.
Parlo di curiosità musicale perché una delle costanti nei dischi e nei progetti della trombettista è quella di attivare uno scambio artistico e umano (attitudine maturata attraverso una formazione all’estero, in particolare a Rotterdam) di schietta natura esplorativa, in cui sì, sono evidenti le tracce lessicali e filosofiche di molta improvvisazione – europea e non – che l’ha preceduta, ma che non perde mai quella tensione allo stupore che annoda piccoli grandi legami con chi la ascolta.
Dopo alcuni interessanti lavori con il proprio quintetto, nel trio LAMA del contrabbassista Gonçalo Almeida o in duo con Kaja Draksler, la Santos Silva ha pubblicato negli ultimi mesi una manciata di interessanti lavori discografici che vi segnaliamo.
Il primo si chiama Rasengan! ed è un vinile (disponibile anche in digitale) pubblicato per l’ottima etichetta/collettivo danese Barefoot insieme alla pianista francese Christine Wodraska, al contrabbassista Christian Meaas Svendsen e al batterista Håkon Berre, entrambi norvegesi.
Colti dal vivo durante il BlowOut! Festival dell’agosto del 2015, i quattro costruiscono le due lunghe improvvisazioni della serata (e del disco) attraverso una sapiente e istintiva messa a disposizione di materiali sonori, aprendo con una loquela quasi fibrillante per poi esplorare con minuzia le varie “ramificazioni laterali” che questo sentiero offre loro.
Il carattere di costante ebollizione della musica trova così aree di maggior quiete e ariosità (in una di queste, nella seconda parte della prima traccia, "Sweatshirt", la Santos Silva è protagonista di momenti di lancinante lirismo) prima di ricomporsi. Parte con una fascinosa intimità di tessitura anche la successiva "Death By Candiru", che si condensa progressivamente in un crescendo vagamente sinistro in cui molte domande rimangono senza risposta.
In Life And Other Transient Storms, per la Clean Feed, la Santos Silva si presenta con la formazione che aveva assemblato su richiesta del direttore del Festival finlandese di Tampere, sempre nel 2015, e che il pubblico del festival di Saalfelden ha potuto ascoltare poche settimane fa.
Qui con lei ci sono la danese Lotte Anker ai sassofoni e una stimolante sezione ritmica svedese composta dal piano di Sten Sandell, dal contrabbasso di Torbjörn Zetterberg (abituale compagno di avventure della trombettista portoghese) e dalla batteria di Jon Fält.
Anche qui le tracce sono due, lunghe (mezz’ora la prima, più di diciotto minuti la seconda), a conferma di un senso di comunità che si costruisce su un continuo riaffermarsi della fiducia reciproca. Un riaffermarsi che, in questo caso come nel precedente, passa attraverso il coagularsi di situazioni sonore molteplici, qui segnate dalla maggiore perentorietà che la presenza di due fiati inevitabilmente suggerisce, ma anche – grazie alla profondità delle traiettorie della Anker – da echi quasi fantasmatici della più incendiaria stagione del free americano.
Troviamo poi la Santos Silva come ospite, in tre brani, del disco The Hundred Heade Woman del duo Roji composto da Gonçalo Almeida (basso e loops) e Jörg A. Schneider (batteria), pubblicato dalla Shhhpuma/ Clean Feed. "Roji" è la bellissima parola giapponese che indica la "terra ricoperta di rugiada", ma le sonorità sono assai più dure e scure di quanto l’immagine suggerisca, muovendosi più dalle parti del noise rock più cupo che non del jazz propriamente detto.
Non presente nel brano qui sopra, la trombettista si inserisce però con nitore nell’iniziale inferno di "Inner Roji", per poi scheggiarsi nell’immediatezza quasi metal della veloce "1 1=3" e donare alla conclusiva, magnifica, title-track una ieraticità quasi sensuale.
In un’intervista che le avevo fatto per "BlowUp" un paio di anni fa insieme a altre innovative figure di improvvisatrici (la potete leggere qui), Susana Santos Silva diceva che per lei «essere creativi è trovare nuove soluzioni a vecchi problemi», ed è interessante ricordare come il suo percorso formativo sia avvenuto su terreni meno avventurosi, e solo con una prima maturità artistica abbia sentito l’esigenza di rivolgersi a mondi meno permeati di certezze.
Nasce da qui il suo suono, i suoi soffi, i borbottii, i fischi, le planate quasi metalliche, il lirismo femminile trattenuto e mai esasperato. Una musicista che certo ha ancora molto da esplorare e non vede l’ora di farlo, perché la curiosità e la capacità di aprirsi al dialogo sono parte del suo DNA.