Mau Mau, il folk urbano

Il giornale della musica presenta i finalisti del Premio Parodi

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Dal 13 al 15 ottobre si tiene a Cagliari la nona edizione del Premio Parodi. È un'edizione di altissimo livello, che conferma come il Parodi si sia ormai imposto come il maggior appuntamento italiano dedicato alla world music: "il giornale della musica" – media partner del Premio – vi presenta gli artisti finalisti.

Il 2016 ha visto il ritorno discografico dei Mau Mau, con l’ottimo 8000 Km (il precedente full-lenght, Dea, risaliva a non meno di dieci anni fa): è un ritorno importante, di un pezzo non trascurabile di storia sia della canzone in dialetto, sia di quella che a posteriori potremmo chiamare “world music”, ma che all’epoca sembrava essere piuttosto solo un’altra sfaccettatura di una scena rock nazionale (e torinese) quanto mai vivace. Luca Morino – che abbiamo intervistato –, Fabio Barovero e Taté Nsongan saranno a Cagliari proprio con il brano che dà il titolo al nuovo lavoro, l’unico cantato in dialetto piemontese.

Sono passati 25 anni da Sauta Rabel, e in quel momento storico l’idea di cantare in piemontese con un certo tipo di suono e di testi era sicuramente, in Italia, una scelta “politica” oltre che artistica. Che cosa è cambiato? Che significato ha farlo oggi?
«In effetti era una scelta anche politica, ma come artista forse ho subito maggiormente la fascinazione delle potenzialità espressive molto allargate: sia dal punto di vista metrico che da quello dei suoni (e anche le sfumature dei significati) – infatti – il dialetto ha un potenziale comunicativo enorme, ovviamente per chi lo capisce, ma certi testi non sarebbero venuti fuori se avessi provato a scriverli in italiano. l’immaginario da “gipsy piemontesi” che ci siamo portati dietro fin dall’inizio è inevitabilmente conseguenza anche dell’uso del dialetto.
Oggi c’è molta meno attenzione su quell’aspetto, l’effetto novità è svanito ma rimane l’aspetto espressivo. Senza andare molto lontano, realtà come Rocco Hunt hanno tante sfaccettature, una delle quali è – guarda caso – il fatto che canta in dialetto… In 8000 km c’è solo un brano in piemontese, ma è sicuramente quello più intenso e che forse ci rappresenta di più attualmente. Non a caso ha dato il titolo all'album».



Perché secondo te, con poche eccezioni, non si è sviluppata una nuova tradizione forte di canzone in piemontese? (Con l’eccezione delle valli occitane, che sono ovviamente altra cosa).
«Difficile rispondere, sicuramente è una considerazione che si potrebbe fare praticamente per qualsiasi regione italiana… Tra l’altro uno dei motivi che ci ha spinti a partecipare al Premio Parodi è proprio questo, cioè sostenere come possiamo una delle pochissime realtà in Italia che tenta a sua volta di sostenere il dialetto… Forse noi piemontesi lo percepiamo come un aspetto del passato, ma appena esci dalle grandi città si usa come normale lingua di comunicazione.
Colgo l’occasione per sottolineare che il dialetto non può essere ingabbiato da nessuna ideologia politica, non è certo un modo per creare “confini”, anzi ritengo che sia una forma di resistenza delle radici, che per sopravvivere hanno bisogno di continua contaminazione e continuo confronto, come è sempre stato».

Partecipate al Premio Parodi, un concorso intestato alla “world music”. Vi riconoscete in questa etichetta?
«Sinceramente, la parola “world music” non è mai piaciuta né a me, né a Fabio [Barovero], e ora men che meno. Un termine in inglese per definire tutto ciò che non è di estrazione anglofona la dice lunga sui limiti di questo termine!
Certo che abbiamo avuto e abbiamo dei problemi a definire un sound trasversale che riconosciamo in tanti artisti, e che non è facile da racchiudere in una sola parola – come succede per reggae, hip hop… Emergono tante influenze ma è difficile trovarne una predominante… A me personalmente, per definire i Mau Mau, piace folk urbano...».

Un esercizio di profezia: come sarà la “world music” fra vent’anni?
«È indubbio che la musica elettronica la farà da padrona… Nello stesso tempo non si può vivere solo di David Guetta e tutto ciò che è global poi viene anche assorbito, digerito e risputato fuori con un carattere local che stravolge il punto di partenza… Penso alla musica dell’Angola, al reggaeton… Esperimenti esaltanti, altri discutibili, ma in movimento. In questo senso Africa e America Latina sono delle enormi fucine di nuove idee e laboratori giò ben proiettati verso il futuro.
Se posso aggiungere una riflessione amarognola, mi sembra che in Italia invece, nonostante stiano succedendo parecchie cose, la voglia di rinnovamento si sia un po’ arenata su stilemi inariditi e troppo autoreferenziali… Generalizzo ovviamente, ma vorrei essere un po’ più sorpreso e un po’ meno annoiato dalle nuove proposte».

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