Dal 13 al 15 ottobre si tiene a Cagliari la nona edizione del Premio Parodi. È un'edizione di altissimo livello, che conferma come il Parodi si sia ormai imposto come il maggior appuntamento italiano dedicato alla world music: "il giornale della musica" – media partner del Premio – vi presenta gli artisti finalisti.
L’intitolazione al Vesuvio (Vesevo è appunto l’antico nome del vulcano) già svela le radici partenopee del gruppo, e il lavoro sulla musica di tradizione orale dell’area campana che porta avanti. Il curriculum dei membri è un'ulteriore conferma: Vesevo è un progetto di Antonio Fraioli, violinista e produttore artistico già fondatore di Spaccanapoli (poi Spakka-Neapolis 55), che ha unito le forze con il percussionista Francesco Manna e il chitarrista e cantante Antonio Di Ponte. L’album eponimo – il primo del progetto – è uscito nel 2015 per la piccola Agualoca Records.
Qual è l’idea iniziale dietro al progetto Vesevo, e quali i modelli musicali?
ANTONIO FRAIOLI: «Sicuramente ciò che ha determinato in un primo momento il nostro incontro musicale è stata la comune passione e la già lunga esperienza riguardo ai linguaggi della musica di tradizione orale campana. In un primo momento la nostra idea di ricerca era quella di esprimere quanto più precisamente possibile i codici musicali tradizionali. Con il tempo è subentrata la voglia e la necessità di andare anche oltre, cioè di usare i codici musicali della tradizione per cercare un’alchimia sonora, articolando attentamente questi con sensibilità sonore e linguaggi altri che facevano parte del nostro bagaglio musicale personale. È stato un percorso naturale per tutti noi e forse per me ancora di più venendo già da un’esperienza musicale come Spaccanapoli (Spakka-Neapolis 55).
I nostri modelli musicali oltre a quelli provenienti dalla tradizione vera, sono sostanzialmente band come Juju [Justin Adams e Juldeh Camara], insomma gruppi che assorbono e plasmano nel loro linguaggio espressivo suoni e codici diversi, moderni e antichi».
Il vostro disco ha “girato” molto anche all’estero, e voi stessi avete suonato fuori dall’Italia. Come si esporta un progetto musicale italiano? In che cosa sono diverse le aspettative del pubblico?
ANTONIO FRAIOLI: «Credo che sia importante per una band italiana far sentire le sue radici ben riconoscibili, essendo credibili e preparati. Poi secondo le scelte di stile, penso sia importante tramite la propria sensibilità, percorso e bagaglio culturale essere in contatto con il presente.... ma questo non significa essere un sound system o usare forme e suoni alla moda.
In genere il pubblico francese, inglese, tedesco... è forse un poco più proteso anche all’ascolto e non solo al movimento. Poi in questi paesi di musica “world” ne gira e se ne produce tanta, dunque il pubblico in genere è anche più attento e abituato alla diversità di linguaggi e sonorità».
Voi partecipate al Premio Parodi, un concorso intestato alla “world music”. Vi riconoscete in questa etichetta?
ANTONIO FRAIOLI: «Sì, crediamo che “world music” racchiuda una sintesi che più si avvicina al nostro lavoro».
Un esercizio di profezia: come sarà la “world music” fra vent’anni?
FRANCESCO MANNA «Immagino che “la musica dal mondo” non rappresenterà l’elemento non conosciuto o esotico ma sarà inclusa all’interno di una rete sempre più grande per trasformarsi in “musica nel mondo”...
Immagino che i codici musicali, cioè i ritmi e le melodie delle diverse etnie che stanno diventando patrimonio della cultura musicale mondiale, continueranno nella loro individuale evoluzione influenzandosi sempre più a vicenda e dando vita a nuovi stili musicali. Ciò che vedo in comune tra i popoli in questo momento è proprio lo sviluppo delle tecniche sugli strumenti tradizionali, che si aprono sempre più verso l’utilizzo dell’elettronica ai fini della ricerca del suono».