Domo Emigrantes, migranti in casa propria

Il giornale della musica presenta i finalisti del Premio Parodi

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Dal 13 al 15 ottobre si tiene a Cagliari la nona edizione del Premio Parodi. È un'edizione di altissimo livello, che conferma come il Parodi si sia ormai imposto come il maggior appuntamento italiano dedicato alla world music: "il giornale della musica" – media partner del Premio – vi presenta gli artisti finalisti.

Migranti per nascita e di nome, i Domo Emigrantes si incontrano a Lodi nel 2009: il loro è dunque uno sguardo insieme "interno" ed "esterno" sulle musiche del Sud Italia, e del Mediterraneo, rilette con particolare sensibilità e con un organico che tiene insieme diversi strumenti del bacino del Mare Nostrum. Il loro debutto discografico, eponimo, risale al 2011. Del 2015 il secondo lavoro, Kolymbetra.

Voi suonate musica del sud Italia ma – se leggo bene la vostra storia – vivete e siete cresciuti lontano da quelle radici. Come vi siete avvicinati a quei repertori? Che significa suonare musica del sud, dalla vostra prospettiva?
«In realtà alcuni di noi sono nati e cresciuti nel Sud Italia (in Salento e in Sicilia), ecco fondamentalmente il motivo del nome del gruppo, Domo Emigrantes, "emigranti da casa"; solo dopo esserci trasferiti al nord per motivi di studio o per lavoro ha preso vita il nostro progetto! Perciò il repertorio che proponiamo, se pur contaminato da altre culture mediterranee, parte da ciò che abbiamo appreso sin da giovanissimi ognuno nella propria terra d'origine».



Quali sono i modelli musicali del vostro progetto, e quali gli ascolti di riferimento?
«Abbiamo diverse "muse ispiratrici", siamo affascinati da diversi generi musicali; restiamo consapevoli però, che per proporre la nostra musica, bisogna conoscere bene prima le proprie radici e tutto ciò che ci lega alla terra madre. È proprio la passione per la musica appartenente alla nostra cultura tradizionale che ci ha sempre portato a tenere l'orecchio attento ad ascoltare parallelamente le tradizioni musicali di altri paesi del mondo, rispettarle e inserirle quasi spontaneamente nelle nostre composizioni, come se fossero nostre».

Voi partecipate al Premio Parodi, un concorso intestato alla “world music”. Vi riconoscete in questa etichetta? «Sì, crediamo che la nostra musica rientri nella definizione di "world music". Se per world music si intende "musica del mondo" noi cerchiamo di attingere dai colori musicali di altri popoli miscelandoli con quelli che già possediamo e che ci legano fortemente alla nostra terra.
Non abbiamo un organico strumentale standard ma per ogni brano utilizziamo sempre strumenti differenti tra loro, magari contrastanti o provenienti da culture diverse, creando una connessione tra loro nel tentativo di ottenere sonorità sempre nuove e interessanti.
Speriamo davvero che un giorno si possa arrivare ad una vera unione tra i popoli, noi nel nostro piccolo cerchiamo di farlo con l'unico mezzo a nostra disposizione, la musica».

Un esercizio di profezia: come sarà la “world music” fra vent’anni?
«Si potrebbe immaginare come un intenso e definito mix di ogni genere, rispettando sempre il buon gusto musicale e il non dover contaminare a tutti i costi nella speranza di trovare qualcosa di nuovo; l'album e la canzone perfetta dovrebbe essere già "world", con sonorità che spaziano addirittura dalla minimal o elettronica (già attualmente molto di moda) riproposta però con strumenti veri, tradizionali. La chiave potrebbe essere questo compromesso tra i vari generi musicali , tra le antiche e le nuove sonorità...».

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