Da otto anni ormai la rassegna RadioLondra del FolkClub di Torino è un piccolo culto fra gli appassionati torinesi. La organizza Enzo Zirilli, batterista e percussionista che ha scelto anni fa di muovere verso l’Inghilterra in cerca di una scena diversa e di opportunità nuove, ma che a Torino è rimasto di casa.
Concerti fuori dai circuiti, nomi importanti della scena inglese, turnisti di lusso alle prese con progetti propri, gruppi messi su ad hoc o di lungo corso, scoperte e conferme: Zirilli parla di una selezione musicale «a 360° gradi», che tocca il jazz e la canzone, ma che propone incursioni nelle musiche del mondo, e soprattutto che negli anni ha saputo ritagliarsi una fetta di pubblico attenta e fedele, proprio grazie alla solidità della proposta artistica. Cosa non da poco, soprattutto in una scena live torinese che sembra essere regredita rispetto ai fasti di qualche anno fa, e che fatica a dare continuità per più di un paio di anni anche a progetti con budget ben più alti.
RadioLondra esordisce, per la stagione 2016-2017, venerdì 28 ottobre nel basement di via Perrone. La novità di quest’anno è la possibilità di abbonarsi a tutti e otto i concerti (90 euro), con una significativa riduzione sul costo totale. Abbiamo chiacchierato con Enzo Zirilli sulla storia e sul presente della rassegna.
Partiamo dall’inizio: com’è nata l’idea del ciclo RadioLondra?
«È nata così: io vivo a Londra da dodici anni. Ho viaggiato moltissimo, da sempre, e spesso mi sono trovato a pensare – magari nei lunghi viaggi notturni – che nonostante tutte le fatiche ero fortunato ad aver conosciuto musicisti così straordinari. Allo stesso tempo, mi stupivo di non vedere mai questi musicisti – e molti di loro hanno fatto la storia della musica – sui palchi italiani. Quindi ho pensato, anche come provocazione, che sarebbe stato bello portare da noi artisti quasi sconosciuti, ma molto noti all’estero. Molto spesso in Italia ci si limita a programmare i soliti dieci-quindici nomi noti… che è anche il motivo per cui me ne sono andato via: l’Italia è rimasto per molti versi un paese feudale – non solo musicalmente parlando – legato alle scene locali, chiuso… Mi piaceva l’idea di trasportare a Torino l’atmosfera di Londra, della mia città, quella che vivo io quando suono al Ronnie Scott’s e in tanti altri jazz club londinesi».
Com’è nato il rapporto con il FolkClub?
«Il FolkClub è stato il posto a cui pensato subito, perché ci ho sempre visto concerti, l’ho sempre considerato un luogo in cui c’è un melting pot di culture – e Londra cos’è se non questo? Mi è sembrato il posto ideale, e sono grato a Davide e Paolo [Davide Valfrè e Paolo Lucà, i direttori artistici del FolkClub] per aver sposato subito l’idea con entusiasmo. Oggi c’è uno zoccolo duro di pubblico che viene sempre, che ci sia il nome grosso o l’esordiente. C’è un gruppo di persone che si fidano, perché sanno che la qualità è alta. È qualcosa che si conquista pian piano, cercando di far capire alla gente che ogni volta ci sono cose diverse, situazioni sonore diverse. In un momento in cui in Italia si fa così fatica anche solo a fare arrivare un messaggio di qualità, avere un posto come il FolkClub dove la gente ascolta la musica senza mangiare e senza bere – e paga un biglietto! – sembra una cosa quasi fantascientifica [ride]. Credo che questa sia stata e sia la forza del FolkClub: l’aver sempre mantenuto questa identità forte. È una cosa che alla lunga paga, come – credo – paghi il discorso di RadioLondra».
Raccontaci la stagione 2016/2017 di RadioLondra. Qual è l’evento imperdibile?
«In realtà, la cosa di cui mi fregio è che sono tutti a loro modo eventi unici. Ogni concerto ha una sua particolarità molto forte, e i musicisti coinvolti hanno sempre un valore aggiunto. Liane Carroll (28 ottobre) è una cantante e pianista fantastica, commovente per quello che dà sul palco».
«Poi, a novembre (il 26), avremo un mio caro amico, una delle persone più belle che ho conosciuto: Matteo Saggese, un songwriter italiano che vive a Londra e che ha scritto per Giorgia, Celentano, Zucchero, ha lavorato con Pino Daniele, anche come produttore… A Torino porterà un progetto con Joe Cang, cantante e chitarrista: si chiama Loro Ironico, a metà fra Buena Vista Social Club, pop, jazz… molto divertente e irriverente. A dicembre (il 16) tornerà Jim Mullen, in veste di arrangiatore con la cantante Zoe Frances. È un progetto perfetto come concerto pre-natalizio: lei è una sorta di Audrey Hepburn della voce, ha una voce diafana, confidenziale… Soprattutto, fa un repertorio di canzoni di Broadway molto poco frequentato dalle cantanti, e questa è una cosa che mi è piaciuta molto da subito.
A gennaio (il 14) tornerà Ian Shaw dopo uno strepitoso concerto di tre anni fa con Fabrizio Bosso, che fu sold out. L’11 febbraio ci sarà Martin Speake, sassofonista: l’ho sempre ammirato molto, ha suonato con uno dei miei idoli, Paul Motian – e infatti faremo un tributo fra Monk e Paul Motian, intitolato… Slow motian! L’11 marzo invece tocca a Jason Rebello, che ha suonato tanti anni con Sting, Wayne Shorter, ha lavorato con Jeff Beck… L’8 aprile ci sarà Joe Pisto, un cantante e chitarrista classico molto bravo che ha fatto un disco con me a Londra (London Vibes) insieme a Fausto Beccalossi, che è un fisarmonicista che ho incontrato a Londra mentre era in tour con Al Di Meola… Sarà una situazione più dedicata al tango, la più “etnica” del programma… L’ultimo appuntamento è a maggio (il 6) con Michael Rosen, un altro di quei musicisti che ha avuto il coraggio, anche se non in tenera età, di venire a Londra e mettersi in discussione. Sarà ospite del mio trio con Luigi Tessarollo e Alberto Gurrisi.
Da "direttore artistico", come scegli i musicisti?
«Non mi accontento di portare musicisti solo perché li ho incontrati a Londra o perché ci vivono. Cerco musicisti che mi hanno colpito per il loro approccio, la loro musicalità. Una cosa che mi inorgoglisce molto è che sono spesso musicisti che non si muoverebbero mai a questi cachet: in Italia è difficile creare una circuitazione fra club, c’è poca voglia di collaborare, i locali non rispondono, non ci sono sponsor, se non hai santi in paradiso… dunque tutto nasce dalla buona volontà degli artisti e degli organizzatori più illuminati. Che questi musicisti vengano senza cachet faraonici significa che quanto ho seminato in questi anni è stato importante. È una cosa che mi colpisce molto, ed è molto gratificante. Portare una persona del pubblico a venirti a cercare a fine concerto dicendo “la ringrazio perché mi ha lasciato qualcosa” è una cosa che vale, è la cosa più bella che possa succedere a un artista. Credo nel valore della semina continua».
In apertura: Enzo Zirilli, foto di Carlo Mogavero