Il Torrione del jazz

Il Jazz Club Ferrara è uno diventato uno dei luoghi imprescindibili sulla mappa del jazz italiano: intervista al direttore artistico Francesco Bettini

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È stato incluso per il secondo anno consecutivo tra le migliori jazz venues al mondo dalla “bibbia” del jazz americano, "DownBeat Magazine". È all’interno di un luogo incantevole come il Torrione San Giovanni di Ferrara, un bastione rinascimentale iscritto nella lunga lista dei beni UNESCO.

È diventato negli anni uno dei luoghi imprescindibili del jazz italiano, in uno scenario nazionale in cui il ruolo stesso del “club” prestigioso è stato purtroppo ridimensionato dalla polarizzazione tra festival/rassegna e serata nel baretto in clima di semigratuità.

È il Jazz Club Ferrara, che ha ripreso da pochi giorni la sua intensa programmazione 2016/2017, un programma animato da riconosciuti talenti internazionali (da Steve Coleman a James Brandon Lewis, passando per Tim Berne, Fred Frith, Regina Carter e molti altri) e artisti emergenti (da Rosa Brunello a Alessandro Lanzoni), spaziando verso altri generi e supportando l’attività di gruppi residenti come la Tower Jazz Composers Orchestra.

Una foto pubblicata da Jazzclub Ferrara (@jazzclubferrara) in data: 13 Dic 2016 alle ore 04:13 PST

Direttore artistico, animatore e anima di questo luogo – che può contare anche su uno staff giovane e affiatato e su una degli uffici stampa più sensibili e sorridenti del jazz italiano, Eleonora Sole Travagli – è Francesco Bettini, che abbiamo intervistato per farci raccontare qualcosa di più sul successo del Jazz Club ferrarese.

Partiamo da questa parte di stagione: quali sono le linee che ti hanno guidato nel costruire il cartellone e quali le tendenze che emergono?

«Il cartellone si divide in sottoinsiemi allo scopo di poter abbracciare le molteplici espressioni dell'attuale scena musicale internazionale, nazionale e locale, con la conseguente finalità di incrociare pubblici differenti. Di particolare rilievo è il programma dei concerti del sabato sera, in cui intercettiamo le più disparate formazioni in tournée in Europa. Qui l'imperativo categorico è quello di abbattere le barriere di genere, tenendo alta l'unica bandiera che conta veramente: la qualità della proposta e la sua onestà intellettuale. Il lunedì sera, la maggior parte delle proposte è costituita dalla presentazione di progetti musicali di artisti italiani con una formula che prevede la jam session dopo il concerto, e quindi l'incontro estemporaneo di musicisti provenienti da diversi luoghi, con differenti attitudini estetiche. Al venerdì, sotto la sigla Somethin'Else, proponiamo iniziative legate al territorio (i concerti dei docenti e degli allievi del Conservatorio di Ferrara, della Scuola di Musica Moderna e la performance mensile della nostra orchestra residente, vero fiore all'occhiello del nostro sodalizio) e una serie di viaggi extra- jazzistici, in taluni casi anche gastronomici, che esplorano le tradizioni musicali del mondo: da Cuba al Brasile, dalla tradizione ebraica all’Africa, fino all'elettronica e alla canzone d'autore».

L’anno si è aperto con la piacevole conferma che il club è stato incluso per il secondo anno consecutivo tra le migliori jazz venues al mondo secondo l'americano "DownBeat". Come nasce questo riconoscimento?

«Nasce dal fatto che tutti gli artisti di rilevanza internazionale che passano al Torrione, e che pertanto vivono i luoghi del jazz in ogni angolo del mondo, non mancano mai di sottolineare pubblicamente quanto gradiscano l'atmosfera che vi si respira. Il nostro è un cocktail di professionalità e informalità che restituisce agli artisti il senso di appartenenza a un'ampia comunità di appassionati, sia che si tratti di addetti ai lavori, sia di semplici fruitori. Credo che, proprio per queste ragioni e con il più banale dei mezzi, il passaparola, sia giunta notizia all'orecchio della redazione di "DownBeat" che esiste la nostra bella realtà. Immagino si siano documentati attraverso la rete (probabilmente verificando anche i commenti positivi sui social che ci riguardano) e che abbiano apprezzato non solamente il programma, ma anche la bellezza del luogo».

Che tipi di pubblico frequentano abitualmente il Torrione? Vedi un ricambio nelle generazioni di fruitori?

«Il pubblico del Torrione, proprio per il taglio concertistico così “schizofrenico”, cambia moltissimo da serata a serata ed è difficile da inquadrare in categorie. Tuttavia esistono delle costanti, ad esempio un'età media più elevata nei concerti di jazz classico e comunque quando è previsto un biglietto, o un prevalente di addetti ai lavori nelle serate più sperimentali, di più difficile fruibilità. Ciò che noi auspichiamo è il massimo incrocio possibile di pubblici, ma non sempre l'operazione riesce “con il buco”, anche se si può tranquillamente affermare che, a forza di battere il chiodo, alcuni degli assidui frequentatori del club abbiano notevolmente ampliato i propri orizzonti musicali finendo per fruire praticamente di tutte le proposte concertistiche con sempre rinnovata curiosità».

Spesso parlando del mondo del jazz in Italia si lamenta la mancanza del jazz club come luogo deputato alla fruizione di questa musica. Il Torrione gode del sostegno di enti pubblici locali, ti va di raccontarci un po’ come stanno in piedi queste due cose, l’essere un club e avere dei soldi pubblici?

«L'ibridazione di cui il Torrione è testimone credo sia una delle più interessanti vie che si possano percorrere per rivitalizzare la scena jazzistica in Italia. Nel corso dell'anno stagioni teatrali e festival non assicurano la necessaria continuità e spesso danno troppo poco spazio a ciò che di buono può esprimere l'humus del territorio di appartenenza; in questo senso l'attività continuativa di un circolo ne rappresenta una valida alternativa. Allo stesso tempo, il fatto di realizzare tante iniziative in uno spazio relativamente piccolo, che sostanzialmente ha già tutto in posizione sul piano della produzione degli spettacoli (questo implica un abbattimento considerevole dei costi con oneri minimi di allestimento), richiede un impegno relativamente modesto da parte delle istituzioni e dei privati che ne finanziano l'attività. Con questi presupposti il Torrione si configura come un piccolo teatro con wine bar annesso che si autofinanzia per oltre i 3/4 del budget annuale necessario, grazie al lavoro quasi interamente volontario dei soci. I soci, dalla loro, percepiscono l'attività del club come impegno pubblico e non come circolo a circuito chiuso».

Una foto pubblicata da Jazzclub Ferrara (@jazzclubferrara) in data: 23 Dic 2016 alle ore 13:28 PST

Quali sono gli ambiti dell’ambiente del jazz in Italia dove pensi si debba ancora crescere maggiormente a livello professionale?

«Temo che il problema non risieda negli ambiti e tanto meno nelle capacità degli operatori di settore. Andrebbe rivista completamente la normativa che regolamenta il mondo del jazz. La stragrande maggioranza dei musicisti ha difficoltà a inquadrare la propria professionalità e la stragrande maggioranza degli operatori culturali ha oneri che peraltro, il più delle volte, non tutelano per niente gli stessi musicisti. Preferisco non scendere nel dettaglio perché ci vorrebbe una pubblicazione seria da parte di un giuslavorista altamente specializzato e non una constatazione superficiale che potrebbe sembrare solamente un mero sfogo ideologico».

Come procede il progetto della Tower Jazz Composers Orchestra?

«Dicevo prima che è il nostro piccolo fiore all'occhiello perché è un progetto nato da un'esperienza didattico/formativa che mano a mano si è trasformato grazie all'entusiasmo dei tanti validi artisti che frequentano il Torrione. Sotto la guida di due musicisti preparati, sensibili e altrettanto entusiasti come Alfonso Santimone e Piero Bittolo Bon, la coesione dell'organico è cresciuta nel tempo ed è oggi una realtà matura e fertile di laboratorio di composizione e arrangiamento originali. Questa primavera l'orchestra compie un anno e mezzo, finalmente uscirà dalle mura del Torrione e conseguentemente da quelle della città, per approdare, a fine maggio, al Festival Correggio Jazz. Si tratta di una produzione realizzata in collaborazione con Crossroads – Jazz e Altro in Emilia-Romagna».

Al di là delle scelte che hai potuto concretizzare nel cartellone, quali sono stati gli artisti e i dischi che ti hanno colpito di più ultimamente?

«Moltissimi artisti e moltissimi dischi, quindi risponderò senza pensarci troppo sopra, citandone uno solo per categoria. Come esperienza di ascolto su supporto direi Sélébéyone di Steve Lehman. Credo che il lavoro parli da sé assieme alle tante recensioni favorevoli. Come esperienza di ascolto dal vivo il duo Theo Bleckmann - Ben Monder, ascoltato lo scorso ottobre al Torrione, perché sono riuscito a non alzarmi nemmeno volta dalla mia postazione per fumare una sigaretta all'ingresso, o per prendere un calice di vino al bar».

Il tuo sogno non ancora realizzato?

«Avere un budget che consenta a me e ad alcuni miei colleghi di non dovere fare altri mille lavori per poter arrivare a fine mese. O almeno di non dover fare direttamente, per carenza di risorse, anche una fetta del “lavoro sporco” come: pulizie del locale, facchinaggio (vedi hammond b-3 originale da portare su e giù per lunghe e ripide scale), centralino per informazioni sul proprio telefono privato, distribuzione dei flyer in ogni angolo della città e non solo, fonica, manutenzione e riparazione di impianti progettati a regola d'arte “surreale”, contabilità improbabile, aggiornamento libro soci (3.500 circa all'anno) eccetera. Abbiamo cominciato quest'avventura quando avevamo tra i 20 e i 25 anni, ora ne abbiamo tra i 40 e i 45. Altri dieci anni così è probabile che si riesca a farli, ma poi? Altri dieci ancora?».

Cosa gira nell’ipod/giradischi di Francesco Bettini questa settimana?

«Il sopraccitato disco di Lehman, il live al Village Gate del quartetto di Rollins con Don Cherry, una delle Road Tapes di Frank Zappa con il leggendario gruppo di metà anni Settanta e gli immancabili ultimi live che registro di rapina al Torrione. Uno su tutti: quello del trio Goldings - Bernstein -Stewart, uno dei piano trio più ispirati che si possano ascoltare al giorno d'oggi e che drammaticamente riempie a mala pena una sala da 150 posti a sedere (alla voce “sogno non ancora realizzato” c'è anche quello di vedere formazioni così che fanno almeno 1.000 spettatori paganti)».

"il giornale della musica" è media partner del Jazzclub Ferrara per la stagione 2017.

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