Dei tanti sodalizi artistici che sono anche legati sentimentalmente nella vita, quello tra la pianista Sylvie Courvoisier e il violinista Mark Feldman sembra dotato di una particolare grazia. Non solo e non tanto per il fatto che si tratta di un sodalizio duraturo e sincero, ma perché sembra dotato della capacità di relazionarsi in modo sempre creativo con gli altri musicisti con cui viene a contatto.
Pianista nata a Losanna, la Courvoisier si è trasferita a Brooklyn alla fine degli anni Novanta, incrociando il proprio destino sentimentale e artistico con quello di Feldman e collaborando con un sempre più vasto numero di artisti, sia della scena downtown che di quella impro internazionale (da John Zorn a Evan Parker, da Erik Friedlander a Vincent Courtois).
Il duo con Feldman aprirà il nuovo tour europeo proprio dall’Italia, con una data a Venezia venerdì 3 marzo, nell’affascinante spazio di Palazzo Trevisan degli Ulivi nell’ambito della rassegna New Echoes e una al Carambolage di Bolzano lunedì 6 marzo.
Abbiamo intervistato per l’occasione la pianista svizzera e Feldman.
Inizierei la nostra conversazione con il vostro lavoro in duo, un nucleo che negli ultimi anni si è aperto a altre combinazioni, penso il quartetto o, più recentemente, al trio con Ned Rethenberg che ha inciso per la Clean Feed il bellissimo In Cahoots. Credete che queste esperienze influenzino quella che poi è la vostra musica in duo o le vivete come pratiche separate?
COURVOISIER: «Queste esperienze rappresentano, come è intuibile, un grande arricchimento per il nostro duo, così come confido che qualsiasi collaborazione nella mia vita musicale sia un arricchimento. Ma tornando al duo, credo che sia una musica che è sempre in movimento, che viene cambiata dagli eventi in continuazione, pur rimanendo in qualche modo sempre se stessa».
Parlavamo della collaborazione con il clarinettista Ned Rothenberg. Il disco è davvero sorprendente…
COURVOISIER: «Ned è un vero amico e ovviamente un improvvisatore straordinario, le cui idee musicali e il cui approccio ha portato una nuova luce alla musica mia e di Mark. Quando collaboriamo, lo facciamo in modo così naturale e spontaneo, senza alcuna discussione o confronto, credo sia questo che si sente anche nel disco».
Tra pochi giorni sarete in Europa e inizierete il vostro tour proprio dall’Italia e da Venezia, dove siete nel cartellone della rassegna New Echoes. Cosa si devono aspettare gli ascoltatori italiani?
COURVOISIER: «Nel 2016 ho ricevuto una commissione dalla Chamber Music of America per scrivere nuova musica per il duo. Ne è venuta fuori una suite in cinque parti intitolata Time Gone Out e la suoniamo dal vivo per la prima volta in questo tour. Ma non credo mancheranno brani dal Masada Book of Angels 2 di John Zorn e, naturalmente, qualcuno dei nostri classici hits! [ride]».
La rassegna New Echoes è dedicate alla musica che viene dalla Svizzera. Vivi negli Stati Uniti da anni, ma ti chiederei qualche parola sulla scena jazz e impro svizzera.
COURVOISIER: «In Svizzera ci sono musicisti fantastici: quando ancora vivevo lì, artisti come Irene Schweizer e Jaques Demierre hanno esercitato una grande influenza sulla mia musica e sono stati di grande supporto. Venendo a oggi, è incredibile quanto musicisti fantastici siano svizzeri, penso a Julian Sartorius, Mark Unternährer, Marc Stucki, ma anche mio marito Mark Feldman è svizzero, eh!».
Vedo che tra i citati c’è Julian Sartorius, che è stato applauditissimo ospite proprio di New Echoes lo scorso gennaio… ma tornando alla tua musica, Sylvie, mi colpisce il fatto che tu prediliga le collaborazioni con altre musiciste, penso al recente duo con Mary Halvorson, ma anche al Trio Mephista (con Ikue Mori e Susie Ibarra), alla sassofonista Lotte Anker, e così via… C'è una particolare energia femminile nella musica o è lo stesso che collaborare con altri colleghi?
COURVOISIER: «Probabilmente c’è, ma è davvero difficile darne una descrizione, molto difficile. Quello che posso dire è che suonare con altre musicista è una cosa che amo davvero fare».
Mark, venendo al tuo modo di suonare il violino, è evidente che incorpora diverse tradizioni, da quella classico cameristica al jazz d’avanguardia. In una carriera così lunga, come definiresti in poche parole il tuo mondo musicale?
FELDMAN: «Lo definirei incredibilmente pieno di possibilità. Questo fa sì che io suoni e mi eserciti in continuazione e che io non abbia mai suonato meglio di quanto faccio oggi».
Condividete la stessa idea di improvvisazione, di rapporto tra composizione e libertà o ci sono delle differenze precise tra di voi?
COURVOISIER: «Come è naturale, ognuno di noi è unico e diverso, in tante cose, ma credo che si possa dire che Mark e io condividiamo una concezione estetica molto simile.
Quali i vostri prossimi progetti?
COURVOISIER: «Alla fine di marzo saremo in tour con il progetto Bagatelles di Zorn, suonando in duo e con altre formazioni: ci esibiremo in sale da concerto bellissime, come la Grosser Saal della Elbphilarmonie di Amburgo o la Filarmonica di Parigi, so che i pianoforti che hanno a disposizione e l’acustica dello spazio sono incredibili e sono molto eccitata all’idea. In Aprile poi saremo a Londra, sia in duo che in trio con Evan Parker, per il festival dell’etichetta Intakt al Vortex. Con Parker e Ikue Mori (con cui siamo parte del quartetto Miller’s Tale), torneremo poi per dei concerti a giugno. E poi c’è il mio trio con Kenny Wollesen e Drew Gress, con cui ci esibiremo in maggio e giugno per poi registrare il nuovo disco durante l’estate».
La foto d'apertura è di Caroline Mardock