Se il solo e il duo sono, per motivi facilmente intuibili, pratiche che nel jazz e l’improvvisazione portano con sé caratteristiche molto specifiche, il trio è, storicamente, la molecola base dell’interplay, il microdispositivo che funge da minimo denominatore comune per ogni avventura di sana composizione istantanea.
Se poi, proseguendo, il trio con il pianoforte o la chitarra ha, in virtù della natura di questi strumenti, la possibilità di connotare in modo deciso l’ambito armonico (o meno) della musica, il trio sassofono, contrabbasso e batteria è, in un certo senso, una creatura naturalmente disposta a mutazioni e evoluzioni, quasi una sorta di poligono dai valori sempre cangianti, meraviglioso rompicapo sempre pronto (dai tempi del Sonny Rollins di Way Out West) a farsi reinventare.
Tre splendidi dischi usciti un queste settimane riprendono la formula, e vale la pena davvero di ascoltarli.
Il primo è Visiting Texture (Intakt) del Trio3 formato dai veterani Andrew Cyrille, Reggie Workman e Oliver Lake. Musicisti che non solo hanno contribuito ad alcuni dei momenti fondamentali del jazz degli ultimi cinquant'anni – accanto a John Coltrane, Cecil Taylor o nel World Saxophone Quartet – ma che anche come Trio3 hanno ormai una storia assai lunga (il loro debutto al festival di Willisau risale al 1992).
Il nuovo lavoro arriva dopo anni in cui il trio ha lavorato dialogando con una serie di pianisti (da Geri Allen a Vijay Iyer, passando per Jason Moran e Iréne Schweizer: recuperateli che sono dischi eccellenti) e questo ritorno alla formula “base” evidenzia con grande incisività quanto la capacità di lavorare per sottrazione, unita a una “storia” così stratificata in ciascuno, riporti il discorso musicale a una sua essenzialità quasi istintiva, in cui la condivisione avviene a un livello totale, in cui ritmo, timbro e linee melodiche si scambiano spesso di ruolo senza perdere mai in asciuttezza. Eccellente.
Sempre dall’etichetta svizzera Intakt viene anche l’intrigante Sensations of Tone del trio composto dal sassofonista americano Ellery Eskelin insieme al contrabbasso di Christian Weber e la batteria di Michael Griener. Il titolo rende omaggio al fondamentale e classico lavoro di Hermann von Helmholtz sull’acustica e la percezione del suono e la musica alterna libere improvvisazioni a riletture di temi del primo jazz (Jelly Roll Morton, Fats Waller…), nel dichiarato intento di stimolare, per giustapposizione, diversi piani d’ascolto.
Se l’idea non è nuova (ricordiamo ad esempio il capolavoro Air Lore del trio Air di Henry Threadgill negli anni Settanta), l’esito è particolarmente felice, non solo perché Eskelin è sempre stato sassofonista di grande profondità storica, ma anche perché i compagni di avventura gli restituiscono un’intensità che è a tratti illuminante. Esperimento riuscito!
Sceglie la formula del trio senza strumento armonico anche l’ottimo batterista Rudy Royston, con Jon Irabagon ai sassofoni e Yaushi Nakamura al contrabbasso nel recentissimo Rise Of Orion (Greenleaf, distr. Ird).
Strumentista molto richiesto (collabora tra gli altri con Bill Frisell, Dave Douglas, J.D. Allen…) Royston è un batterista che all’eccellente tecnica assomma una contagiosa istintualità. Lo si percepisce sin dalle prime note del disco, che oltre a temi originali scritti dallo stesso Royston, rilegge anche con sensualità “Make a Smile For Me” di Bill Withers e una pagina classica come il “Lamento di Didone” di Purcell.
È musica che sembra quasi esplodere di energia, dotata di un’aggressività quasi animale, ma sempre giocata con grande finezza, in cui il magistero sassofonistico di Irabagon traccia linee incandescenti tra la tradizione e l’urgenza del contemporaneo. Non resta che ascoltarli dal vivo (al Festival Jazz di Bergamo nelle prossime settimane)!
In apertura: Rudy Royston Trio