Susanna Venturi
I cantarê. I Canterini romagnoli di Russi dagli anni Trenta a oggi
Geos Nota Book
Quante vicende che illuminano con squarci di luce improvvisa angoli rimasti in ombra della storia della nostra musica attendono ancora di essere raccontati? Probabilmente innumerevoli. E ogni volta che si racconta una storia, è ben e evitare di dare definizioni e assestamenti storiografici definitivi, perché la storia delle musiche è fatta di intrecci così fitti che ogni volta la trama sembra essere costruita con apporti diversi, poco considerati. Bene dunque che l'operosa acribia di qualche studioso riservi ancora sorprese e infranga silenzi decennali, se alla fine il risultato è, come sempre, conoscere meglio noi stessi, la nostra storia, e dove probabilmente (non necessariamente) calcheranno la terra i passi della musica di domani.
Nel 1936 l'Italia era in piena dis(avventura) coloniale libica, il mito della “vittoria mutilata” della prima guerra mondiale s'era trasformato nella disperata ricerca da parte del regime fascista di sbocchi “imperiali” che avrebbero dovuto garantire alla Penisola rispetto e ammirazione da parte di stati assai più solidi del nostro, e che i tentacoli coloniali li avevano allungati da tempo. È in quell'anno che Francesco Balilla Pratella, direttore allora del Liceo musicale di Ravenna, compositore ed etnografo che si riconosceva nel movimento futurista, mise assieme per la prima volta i Cantaré, i Canterini romagnoli di Russi. Istituzione decisamente interessante, e destinata a durare ben oltre le aspettative dell'italietta in nero, e arrivando a sfiorare i nostri gironi più recenti.
Questa storia poco conosciuta la racconta in un bel libro della serie Geos Nota Book (distribuzione EDT) la giornalista e docente di storia della musica e musicologia Susanna Venturi, attiva presso l’Università della Basilicata. Venturi è una ricercatrice vera che evidentemente sa volteggiare con grazia, acume e metodo tra montagne di documenti diversi, sapendo cogliere tratti essenziali e di ricapitolazione da un coacervo di apporti che ad altri potrebbe sembrare solo caos labirintico. La definizione non è pompata: perché la storia dei Canterini romagnoli di Russi, otto decenni di attività, va evidentemente a incrociare un percorso cruciale di nodi teorici sui quale chi studia la musica va a cozzare giorno dopo giorno.
Quali i rapporti nella costruzione di un “repertorio” progressivamente sempre più allargata tra note autoriali e reperti folclorici, come valutare senza forzature l’incontro-scontro tra due schemi di società, quella contadina in via di annientamento, quella urbana in via di assestamento, che in questo caso sembra davvero uno snodo essenziale? Tutte domande legittime, e che nei dodici capitoli del testo trovano risposte documentate ed efficaci.
Operando in periodo di regime, i Canterini si trovarono anche inquadrati nell'Opera nazionale del dopolavoro, e anche qui c'è da inseguire il filo di vicende interessanti, che vanno a toccare il nervo scoperto dell' “intrattenimento” in era fascista, compresa l'utilizzazione del “nuovo” medium radiofonico, mentre tutto il periodo del secondo dopoguerra offre altre visuali, allorché i Canterini divennero anche gruppo viaggiante, a rappresentare una parte importante del nostro “folclore”, e accorparono in repertorio brani per il ballo. Al testo è come di consueto accluso un notevole cd, che in ventidue tracce ci offre un ritratto sonoro non esaustivo, naturalmente, ma succoso in epitome del valore della “compagnia di canto” romagnola.