La fine di Bayreuth?

In un editoriale in Die Presse l’ex-sovraintendente della Staatsoper di Vienna Ioan Holender lancia l’allarme sulla possibile fine del festival wagneriano

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Ioan Holender
Ioan Holender

“Il teatro da 1937 posti è sempre stato esaurito per anni. Solo pochi anni fa si potevano richiedere al massimo due biglietti. E l’attesa per ottenerli durava fino a otto anni.” Oggi non è più così: il tutto esaurito per tutti gli spettacoli nel mese e più del festival wagneriano è ormai un ricordo e chiunque può acquistare biglietti anche attraverso il sito del festival. “Das ist das Ende?”: è la fine?

A chiederselo in un editoriale pubblicato dal quotidiano austriaco Die Presse è l’ottantottenne Ioan Holender, mitico sovrintendente della Staatsoper di Vienna dal 1992 fino al 2010, quando fu sostituito da Dominique Meyer, l’attuale sovrintendente scaligero. Spesso criticato per la linea rétro degli spettacoli prodotti a Vienna sotto la sua gestione, Holender nostalgicamente ricorda gli anni d’oro del Festival di Bayreuth, a suo dire “la più importante di tutte le organizzazione liriche del mondo”, dove un ingaggio rappresentava “il più alto onore per un direttore d’orchestra e un cantante d’opera”. Holender identifica con la lunga direzione di Wolfgang Wagner, definito “l’ultimo direttore autonomo e noto del Festival sulla collina verde” (con una nota irrispettosa nei confronti dell’attuale direttrice Katharina Wagner, mai nominata nel pezzo), l’età dell’oro del festival, quando “il mondo dell’opera conobbe registi come Götz Friedrich, Patrice Chéreau e Harry Kupfer, già in tempi in cui l'importanza dei registi – ma non quello che oggi intendiamo per teatro di regia – stava gradualmente aumentando.”

Secondo Holender alla radice dell’affievolirsi dell’interesse del pubblico ci sarebbero gli eccessi registici che non hanno risparmiato nemmeno la sacralità del tempio wagneriano sulla collina verde: “La musica e i testi dei creatori erano i due pilastri del loro lavoro. Questi e questi solo erano determinanti” mentre “a causa delle aberrazioni registiche degli ultimi anni e, non da ultimo, dei discutibili direttori d’orchestra e cast vocali, il pubblico pagante lascia Bayreuth sempre più spesso deluso e persino infuriato.” E quanto a questo, nelle parole di Holender, nemmeno “la meravigliosa acustica del Festspielhaus, unica al mondo, può da sola compensare linee musicali mediocri, un casting vocale spesso scadente e le incomprensibili rappresentazioni visive di storie inventate dai vari registi per intrattenere i visitatori.”

Se il presente è sconfortante, il futuro è addirittura inquietante: “il Festival di Bayreuth, che non fa il tutto esaurito, è e dovrebbe essere un monito per tutti quei teatri d’opera del mondo che trascurano, cambiano, disprezzano e, che ci crediate o no, spesso non conoscono la musica e l’originale, cioè il libretto, sulla base del quale la musica è stata composta.” Da qui la domanda che riecheggia quella di Wotan: stiamo avvicinandoci gradualmente ma inesorabilmente alla fine?

 

 

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