Una partita a scacchi con Actress
Il nuovo album del britannico Darren Cunningham, LXXXVIII, è ispirato alla teoria dei giochi
Anticipando l’uscita di LXXXVIII, Actress aveva invitato i fan ad affrontarlo a scacchi in partite lampo online, terminate le quali si veniva reindirizzati al trailer del suo nono album, sonorizzato con spezzoni di un paio dei 13 episodi che lo compongono: il rarefatto “Hit That Spdiff (b8)” e “Oway (f7)”, denso gorgo di house amniotica.
Come confermano le notazioni incluse nei titoli, relative a singole caselle della scacchiera, è quello il tema conduttore dell’opera, ispirata in termini più generali – ha spiegato lui stesso – alla teoria dei giochi e d’altra parte imparentata al precedente (e omonimo) 88, pubblicato tre anni fa gratuitamente su Bandcamp, non a caso bonus allegato nell’edizione in vinile del nuovo lavoro.
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Su ciascuna mano, del resto, porta tatuato un otto e attribuisce dunque alla doppia cifra un significato particolare: niente a che vedere con le nefaste implicazioni naziste, ovviamente, semmai il riferimento è al simbolismo esoterico, equivalente alla consapevolezza spirituale, o magari alla dimensione musicale, tanti sono infatti i tasti del pianoforte.
Il suono di quest’ultimo strumento, ancorché sporadico e trattato con echi e riverberi, punteggia il disco e conferisce ad esempio una sfumatura cameristica all’iniziale “Push Power (a1)”, ammantata viceversa da un fosco groove marziale degno del miglior Felix Da Housecat,
Cresciuto artisticamente nel sottobosco del clubbing londinese, nel quale s’immerse in gioventù arrivando da Wolverhampton, intenzionato a smaltire la delusione per la mancata carriera da calciatore (compromessa da un grave infortunio), Darren Jordan Cunningham riaffiorò tramutato in “attrice” e cominciò a produrre musiche con cui ben presto – diciamo da Splazsh (2010) in poi – si sarebbe affermato nella scena elettronica d’oltremanica.
Sosteneva allora di creare “R&B concrète”, sottolineando così l’attitudine “colta” del proprio linguaggio: caratteristica certificata in seguito dalle partnership con istituzioni come Tate Modern, British Arts Council e London Contemporary Orchestra. Se persiste la pulsazione dance, qui in modo evidente nella techno subliminale di “Typewriter World (c8)” e in quella dal gusto acido di “Pluto (a2)”, al capo opposto del ventaglio espressivo stanno le figurazioni ambient di “Green Blue Amnesia Magic Haze (d7)”, tipo un Brian Eno rabbuiato, e i tracciati minimalisti di “Azd Rain (g1)” e “Game Over (e1)”.
Al crocevia fra tali direttrici si colloca “Memory Haze (c1)”, banco di nebbia digitale trapassato da un ritmo soffocato: apice della raccolta insieme all’incantevole “Its me (g8)”, gioiellino dalla silhouette flessuosa tempestata da scricchiolii glitch e campionamenti vocali in stile Burial.
A dispetto delle premesse concettose, LXXXVIII scorre con fluidità in poco meno di 50 minuti e contribuirà a consolidare lo status di Actress, artista apprezzato tanto da Beyoncé, che inserisce sovente suoi brani nel preambolo ai propri show, quanto da James Blake, che lo ha voluto accanto a sé in tournée nel ruolo di DJ incaricato di introdurre la serata: “Lo ammiro da almeno dieci anni”, ha detto – ringraziandolo – al Fabrique di Milano lo scorso 19 settembre.