Oneohtrix Point Never, musiche da Palma d’Oro

Esce su disco la colonna sonora firmata da Daniel Lopatin per il noir dei fratelli Safdie, Good Time

 

Oneohtrix Point Never Good Time
Disco
oltre
Oneohtrix Point
Good Time – Original Motion Picture Soundtrack
Warp
2017

Un po’ doveva averlo nel sangue, essendosi abbeverato in gioventù di musiche destinate al cinema. E poi già ci aveva provato: prima creandone insieme a Brian Reitzell per The Bling Ring di Sofia Coppola, quindi firmando di suo pugno quelle impiegate in Partisan di Ariel Kreiman (l’unica cosa soddisfacente del film, a dire il vero).

Questa volta però ha lasciato il segno, aggiudicandosi tre mesi fa il premio assegnato alla migliore colonna sonora durante il festival di Cannes grazie al lavoro svolto per Good Time: a dispetto del titolo, un cupo noir ambientato nel sottobosco malavitoso di New York, diretto dai fratelli Joshua e Ben Safdie, con protagonisti principali Robert Pattinson e Jennifer Jason Leigh.

Come avviene in casi del genere, ascoltata su disco e dunque privata del contesto in cui agisce, l’opera esprime solo parzialmente il proprio significato, eppure a tratti conferma lo status di Daniel Lopatin: una delle teste d’uovo più ingegnose nella scena attuale del suono elettronico. Se ne percepisce qui la maestria nei brani dalla forma compiuta: “The Acid Hits”, ad esempio, al tempo stesso evocativo e claustrofobico, oppure “Leaving the Park”, articolato sugli arpeggi di sintetizzatore che ricorrono sovente nella produzione marchiata Oneohtrix Point Never. Quest’ultimo, al pari dell’iniziale “Good Time”, riecheggia certe vibrazioni “cosmiche” tipiche nella Germania degli anni Settanta (vengono in mente di Tangerine Dream di Sorcerer, rimanendo in ambito cinematografico), anche se l’interessato ha indicato quali fonti d’ispirazione i nostrani Goblin e Sensation’s Fix, mentre “Connie” fa pensare invece a John Carpenter. Il pezzo forte arriva in coda, comunque: “The Pure and the Damned” è una ballata dal tono esistenzialista, resa tenebrosa dalla voce di un meditabondo Iggy Pop.

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

oltre

Il mito di Orfeo secondo Sarah Davachi

In The Head as Form’d in the Crier’s Choir la compositrice canadese trae ispirazione da Claudio Monteverdi e Rainer Maria Rilke

 

Alberto Campo
oltre

La morbida confusione di Mabe Fratti

Sentir Que No Sabes è l’inconsapevole capolavoro della violoncellista e cantante del Guatemala

Alberto Campo
oltre

Alessandra Novaga sulle orme di Tarkovskij

The Artistic Image Is Always a Miracle è il nuovo lavoro della chitarrista e compositrice milanese

Alberto Campo