Om, 50 anni di divertimento
50, che celebra il mezzo secolo degli Om, è un album fresco e gioioso
Un vecchio adagio popolare recita, più o meno, che chi da giovane è stato incendiario, da vecchio finisce per indossare la casacca da pompiere. In politica succede spesso, specie alle nostre latitudini, anche se non necessariamente (per la coerenza altrove vedi alla voce Pepe Mujica, ad esempio).
Succede anche nelle musiche che definiamo “popular”, con la strategica aggiunta del far valere ad ogni costo la (il)logica dell’apparenza del “Forever Young”, purtroppo conficcata come un chiodo in buona parte delle musiche nate, appunto, per un pubblico di consumatori giovanili.
Tra le mossette lubriche e i capelli color tinello di Nonna Speranza dell’ottantenne Mick Jagger, pompiere nei fatti, e l’ultimo elegantissimo Leonard Cohen, tanto infragilito nel fisco, quanto perfetta macchina d’incanto affabulatrice nel portamento e nella grazia incendiari, c’è una certa differenza.
Nel jazz, che notoriamente, come una cipolla, contiene strati e strati di valenze puramente “popular”, ma anche rocciosi e ribollenti nuclei di creatività impermeabile alle lusinghe di mercato, il discorso è simile, ma non identico.
C’è oggi in circolazione un (inconsapevole) clan di ottantenni che non solo non sono finiti nelle caserme dei pompieri delle idee e delle pratiche, ma conservano un animo piromane e bruciante, a dispetto delle crescenti aree di calvizie e delle filacce bianche che insidiano le antiche teste un tempo color ebano o paglierine. Pensate a Barre Phillips, a John Surman. A Enrico Rava.
O, ed è il caso di cui brevemente tratteremo, degli Om. Che tornano ad affacciarsi sull’ormai sfilacciato e liquido mondo delle note creative in odore di jazz (ma non solo) con un titolo programmatico: 50, come gli anni che sono passati da quando si misero assieme.
A riprova, e con bella dose di autoironia, i quattro che presero a prestito il nome da un disco di John Coltrane, nella copertina dell'album (che esce per Intakt) riportano una loro foto del 1978 e una di oggi, stesse identiche posizioni.
Svaniti i baffoni spesso anni ’70, scomparsi perlopiù i capelli che furono e non sono più, aggiunte un po’ di irredimibili pancette e rughe come campi arati, i nostri dovrebbero essere ormai, a logica, tranquilli e redenti praticanti di un’altrettanto tranquilla avanguardia prevedibile senza rischi e con molti reti di protezione.
Invece no. Perché 50 è uno dei dischi più “giovani”, sarcastici, irridenti, lirici e squassanti assieme che si siano ascoltati in tempi recenti. C
on un altro “demerito”, per chi ha una concezione tetramente sacrale della ricerca: è dannatamente divertente. Spesso ci si ritrova con un sorriso sulle labbra ad ascoltare quanto si divertono ancora, come ragazzi, questi attempati signori che continuano a stupire gli altri e sé medesimi con i suoni dell’altro mondo. Quello della fantasia. In bilico esatto tra scorpacciate d’armonici acustici e brucianti sferzate elettriche.
Perché tra gli Om, è bene ricordare, c’è anche un chitarrista elettrico, il dublinese Christy Doran: che se vuole può suonare come Toni Iommi dei Black Sabbath, e se vuole altro può sembrare un incrocio tra Fred Frith ed Elliott Sharp. Tutto funziona, e tutto è divertente, qui. A cominciare dall’esercizio ritmico iterativo iniziale che, se lo spacciate a un appassionato per un inedito di kraut rock tedesco dei primi anni ’70 vi crederà senza possibilità di dubbi.
Poi inizia la festa di colori, idee, rumori, battibecchi da baruffe chiozzotte goldoniane in salsa avantgarde, e via inventando. Altro che pompieri. Questi hanno benzina sonora a taniche.
Gli dei dell’improvvisazione, però, hanno voluto farci uno scherzo pesante, per l’uscita di 50: Fredy Studer, che qui omaggiamo con un suo splendido video in assolo, il 22 agosto ha portato pelli, piatti e bacchette sulle nuvole. Chissà che spasso, lassù.