Meshell Ndegeocello, il vangelo secondo James Baldwin
In No More Water Meshell Ndegeocello celebra il centenario della nascita dello scrittore James Baldwin
Con No More Water: The Gospel of James Baldwin la bassista e compositrice statunitense Meshell Ndegeocello (vero nome Michelle Lynn Johnson) celebra il centenario della nascita dello scrittore James Baldwin, una delle figure chiave della letteratura africano americana, nato per l’appunto il 2 agosto 1924 a New York e scomparso il 1° dicembre 1987 a Saint-Paul-de-Vence, nel dipartimento delle Alpi Marittime.
Il caso vuole che io stia scrivendo queste righe nelle vicinanze della località francese qualche giorno dopo la pubblicazione del disco di Ndegeocello, avvenuta il 2 agosto per celebrare esattamente il centenario. 17 brani raccolti in un doppio vinile per un’ora e 16 minuti d’ascolto: il materiale è tanto, vediamo di districarci al suo interno.
Avevamo lasciato Meshell Ndegeocello lo scorso anno quando realizzò l’ottimo The Omnichord Real Book, disco che infatti lo scorso febbraio vinse il Grammy Award nella categoria di fresca istituzione Best Alternative Jazz Album.
Un anno dopo è la volta di questo lavoro che rivisita la vita e l’opera di Baldwin alla luce del movimento Black Lives Matter; sono passati 37 anni dalla sua morte ma la sua influenza è ben palpabile, al punto che in metà dei brani gli sono stati riconosciuti i crediti.
«È solo nella musica, che gli Americani sono in grado di ammirare perché un sentimentalismo protettivo limita la loro comprensione di essa, che il Negro è stato capace di raccontare la propria storia» - James Baldwin, 1951
Baldwin del resto ha sempre sostenuto che nessuna opera letteraria, incluse quelle scritte da lui, è riuscita a esprimere la gioia o la tristezza come hanno fatto certe composizioni di Louis Armstrong e Billie Holiday. Questa convinzione lo portò a essere amico di Nina Simone e Ray Charles, con cui diede vita a un’esibizione alla Carnegie Hall.
A ben vedere il suo stile letterario ha spesso avuto una cadenza musicale e dunque si coglie il senso del perché Ndegeocello abbia lavorato con le parole di Baldwin in questo album che prende il titolo dal suo libro del 1963 The Fire Next Time.
«”The Fire Next Time” fu davvero una rivelazione per me e addolcì il mio cuore in diverse maniere. Ebbi un’educazione davvero veloce quando conobbi lo scrittore e musicista Greg Tate ma nulla mi influenzò come “The Fire Next Time”. È come se parlasse della mia famiglia, soprattutto il primo capitolo: sono cresciuta intorno a uomini neri che non volevano essere visti come deboli, che poi è come Baldwin apre “A Letter to My Nephew", da cui ho preso le parole per il titolo dell’album» – Meshell Ndegeocello
Ndegeocello, che, non dimentichiamolo, venne alla ribalta all’inizio degli anni Novanta grazie all’etichetta Maverick, di proprietà di Madonna, e che ora è sotto contratto con Blue Note, un’etichetta senz’altro adatta ai suoi lavori attuali, è stata protagonista di un lavoro lungo e puntiglioso per arrivare al risultato di questo disco: infatti l’inizio deve essere fatto risalire al suo spettacolo teatrale del 2016 Can I Get a Witness?, rappresentato all’Harlem Stage Gatehouse, a riprova di un dialogo proteiforme con la vita, l’opera e l’eredità di Baldwin. Questo lavoro, per alcuni versi visionario, è allo stesso tempo un’esperienza musicale, una funzione religiosa, una celebrazione, una testimonianza e un incitamento all’azione: siamo di fronte a un’odissea musicale profetica che va oltre i confini dei generi, immergendosi a capofitto in argomenti quali la razza, la sessualità, la religione e altri temi ricorrenti nell’esplorazione compiuta da Baldwin.
Non sarebbe corretto nei confronti di questo disco categorizzarlo come un semplice tributo dettato da una ricorrenza: l’ispirazione, la rabbia e il legittimo furore che caratterizzarono il lavoro di Baldwin sono il trampolino di lancio per Ndegeocello per esplorare sia le ingiustizie che lo scrittore dovette affrontare sia i loro parallelismi contemporanei.
Co-prodotto da Ndegeocello e dal chitarrista Chris Bruce, No More Water vede coinvolti alcuni dei frequenti collaboratori della bassista, tra cui il già citato Bruce, il cantante Justin Hicks, il sassofonista (e produttore di Omnichord) Josh Johnson, il tastierista Jebin Bruni e il batterista Abe Rounds. L’album mette in mostra anche la potente spoken word della venerata poetessa Staceyann Chin e l’autore vincitore di un premio Pulitzer nonché critico Hilton Als.
In diversi punti del disco le scelte sonore sono deliberatamente in contrasto con quanto contenuto nei testi. In “The Price of the Ticket”, una ballata costruita intorno a una chitarra acustica in omaggio alle canzoni di protesta degli anni Sessanta, Meshell intona con gentilezza "agente, metta giù la sua pistola e mi tolga le mani di dosso". La natura gentile, quasi rassicurante, del brano accentua la gravità delle parole e il loro messaggio sulla brutalità della polizia. Questo pezzo segue a ruota “Raise the Roof”, esempio di poesia spoken word eseguito da Staceyann Chin che agisce come una chiamata all’azione: fa riferimento a numerosi e ben documentati atti di brutalità poliziesca e uccisioni di afro-americani nella recente storia statunitense. Siamo di fronte a uno dei momenti più potenti dell’intera raccolta, un ascolto doloroso ma necessario. Ritroviamo la voce e le parole incendiarie della poetessa di origine giamaicana nel brano “Tsunami Rising”.
Il basso di Ndegeocello ci regala anche il funk, specialmente in “Pride II”, un altro regolamento di conti con la violenza dei bianchi. Lei e Chin sono donne queer che traggono ispirazione da un predecessore come Baldwin che si concentrò sull’umanità nel suo insieme, e brani come “Love”, canzone sull’accettazione di sé stessi a dispetto di crisi esistenziali, e “Hatred” forniscono insegnamenti universali: amore e odio, due facce della stessa medaglia.
Chiusura dell’album a sorpresa con “Down at the Cross”, un duetto di ambient soul tra Ndegeocello e Hicks che, come ha giustamente sottolineato Dorian Lynskey su The Guardian, fa venire in mente, in maniera senz’altro sorprendente, gli XX.
Sarebbe fin troppo semplice concentrarsi sul contenuto tematico di No More Water, ma la varietà di suoni di questo disco è davvero qualcosa che colpisce: dall’uso funky di organo, chitarra e basso nel brano d’apertura “Travel” allo stile da ballata acustica della già menzionata “The Price of the Ticket”, gli improvvisi cambiamenti sonori concorrono a creare un disco di grande impatto, addirittura epico, con una bandleader pienamente in grado di gestire una sorprendente mescolanza di suoni.
In parte richiesta polemica di agire per ottenere giustizia, in parte funzione religiosa e in parte tributo a un leggendario scrittore e attivista per i diritti civili, No More Water si rivela un trionfale caleidoscopio.
«God gave Noah the rainbow sign/No more water, the fire next time» - dal Libro della Genesi
P.S. Due mesi fa Meshell Ndegeocello è stata ospitata da NPR per uno dei suoi famosi Tiny Desk Concert: guardatelo, ne vale la pena.