Maria Pia De Vito, il sogno delle canzoni
Dreamers, il nuovo lavoro di Maria Pia De Vito, è un piccolo capolavoro tra Joni Mitchell e Bob Dylan
A volte la musica ha il dono segreto (poi ben evidente, una volta che se ne sia colto il meccanismo che fa scattare la molla della rilevanza) di intercettare il senso dei tempi in cui ci si trova a vivere. Facile farlo quando avvenimenti epocali scuotono il nostro quieto tran tran affollato di cose e di fretta, facile quando l'evidenza immediata di un evento (il crollo delle torri, il crollo di un muro che divide una città, o di un ponte) affastella emozioni dirette, non mediate. Più difficile quando capire lo spirito di un tempo – che ha bisogno di altro spirito per darsi un senso – non è cosa così lampante.
Maria Pia De Vito, voce della scena jazz, etno e di ricerca in genere tempo fa stava riflettendo sul senso del cupo verso di Peter Gabriel “Drink Up, Dreamers”, in cui l'ex mente dei Genesis rifletteva sul vorticare dei nostri tempi iperconnessi e asfittici, che lasciano spazio a personalità narcisistiche e disturbate per far danni immani con le fake news. Peter Gabriel quel verso l'aveva inserito in un brano splendido che si intitola “Here Comes the Flood”. Poi è andata a finire che l'inondazione delle coscienze è arrivata davvero, sotto forma di pandemia, e di conseguente messa a nudo delle nostre fragilità tutte connessione e poca relazione interpersonale.
E allora Maria Pia De Vito s'è messa a riflettere, a scrivere, a cantare. È rimasta la parola Dreamers, e i Sognatori per eccellenza, al di là di ogni retorica celebrativa, di ogni appiglio cronologico per elaborare i supposti bei tempi andati, al di là di tutto e di ogni inondazione cupa, sono rimasti quelli che erano mezzo secolo fa. Chi aveva davvero provato a sognare mondi diversi possibili e un po' più umani, dove siano valorizzate le differenze e non l'ipocrisia, le comunità interdipendenti e non il sovranismo ringhioso, le guerre spazzatura della storia, la democrazia esportabile con torture e bombe supposte intelligenti.
Due brani da Paul Simon, il Crosby sognante di "The Lee Shore", un cuore evidente con tre brani uno dopo l'altro della sempre amata Joni Mitchell, la chiusura con la tenerezza dimenticata del Tom Waits di "Rainbow Sleeves”, il Dylan di "Simple Twist of Fate" introdotto dal tintinnio “on reverse” delle campanelle tibetane, quello dal piglio profetico e cantilenante di "The Times They Are A-Changing" trasformato in una sorta di complesso teatro delle voci: sferzanti, ironiche, assertive.
Julian Oliver Mazzariello al piano, Enzo Pietropaoli al contrabbasso e Alessandro Paternesi alla batteria avvolgono la voce dolce e perentoria di De Vito in una ragnatela di sostegno che è un intelligente ricamo. Un piccolo capo d'opera, si sarà compreso.