Luca Aquino, un sontuoso ritorno
Ritorna dopo un silenzio di oltre due anni la tromba di Luca Aquino, qui insieme al pianoforte di Danilo Rea
Sembra tornato più rotondo, meditato e ricco di armonici, oltre che altrettanto luminoso e soffiato, il suono prezioso della tromba di Luca Aquino, che avevamo rischiato di perdere definitivamente.
Sì, perché nell’estate del 2017, poco prima di partire per il suo ramingo Bike Tour, che avrebbe dovuto condurlo in bicicletta da Benevento ad Oslo, con l’idea di pedalare di giorno e suonare la sera ovunque capitasse, Aquino è stato improvvisamente bloccato da una disgraziata paresi facciale, che lo ha costretto a smettere di suonare per un anno, e a impiegare quello successivo in una faticosa e snervante opera di riabilitazione.
Oggi, sfatato il pericolo di una carriera drammaticamente stroncata anzi tempo, la tedesca ACT pubblica a suo nome quest’avvolgente album di cover italiane, per un nuovo poetico e promettente inizio.
Ad accompagnare e sostenere Luca Aquino in questa impresa, l’inconfondibile arioso melodismo del (come al solito) geniale pianista vicentino (ma romano d’adozione) Danilo Rea, alla prima collaborazione con il talentuoso trombettista beneventano; il virtuoso fisarmonicista Natalino Marchetti, vero e proprio astro del suo strumento, che insieme al chitarrista acustico Rino De Patre (presente anche lui in queste registrazioni) aveva partecipato all’ambizioso e corale progetto di Aquino realizzato, qualche tempo fa, nel celebre e suggestivo sito archeologico di Petra, in Giordania; l’Orchestra Filarmonica di Benevento, ottimamente diretta e arrangiata dal coraggioso maestro Giovanni Francesca; e ancora Fabio Giachino al pianoforte e Ruben Bellavia alla batteria.
In scaletta una splendida armoniosa rassegna (davvero tutta da gustare) di celebri melodie italiane, a pensarci bene veri e propri tesori della nostra unica, tipicamente cantabile, popular music, mai sufficientemente ricordati o valorizzati: dalle arie del nostro cinema d’autore ("Deborah’s Theme" e "La Strada" di Nino Rota) alla lirica ed espressionista "Caruso" di Lucio Dalla; dalla poesia di Roberto Murolo e dell’universo della canzone napoletana ("Scalinatella", "Era de maggio", "Anema e core") all’irrimediabile intrinseca malinconia di Luigi Tenco ("Un giorno dopo l’altro"); dall’appassionata generosità di Mia Martini ("Almeno tu nell’universo") al Fabrizio De André più romanticamente sconsolato ("La canzone dell’amore perduto"); dalla vivacità “scugnizza” di Adriano Celentano e del suo Clan ("Storia d’amore") alla leggiadra rievocazione dei divertissement del Trio Lescano e della composizione jazzata dello storico fisarmonicista Gorni Kramer ("Pippo non lo sa"); fino al ricordo di Chet Baker in Italia tra la Versilia e gli studi romani della RCA ("So che ti perderò").
Un insperato, sontuoso, rientro.