Lo stato di grazia degli Irreversible Entanglements
Protect Your Light degli Irreversible Entanglements esce per la Impulse!
Al termine dell’esibizione d’inizio giugno al cinema Massimo di Torino, per bocca di Camae Ayewa gli Irreversible Entanglements annunciarono «una sorpresa a settembre».
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Eccola qui, adesso: Protect Your Light, quarto album della formazione statunitense, esce marchiato Impulse!. Il legame con “la casa costruita da Trane”, com’è soprannominata l’ultrasessantenne etichetta newyorkese, viene corroborato dal luogo nel quale il disco è stato registrato in gennaio: lo studio creato nel 1959 da Rudy Van Gelder a Englewood Cliffs, nel New Jersey, culla – fra i tanti classici – di A Love Supreme.
Per il quintetto, svezzato in ambito indipendente dall’encomiabile International Anthem di Chicago, si tratta dunque di un rilevante salto di qualità nelle gerarchie del jazz contemporaneo, di cui esso è divenuto in appena otto anni di attività una delle forze trainanti producendo «musica che onora e sfida la tradizione, parlando al presente e insistendo sul futuro», scrive nelle note di copertina lo storico afroamericano Thomas Stanley.
La circostanza è celebrata dal gruppo esprimendosi ai massimi livelli già nel brano di apertura, “Free Love”, proposto in anteprima tre mesi fa durante lo show citato, dove al preludio “spirituale” – “Amore libero che vive in te, un testamento vivente” – subentra un groove swingante sul quale si erge l’incisivo fraseggio delle ance.
Viene quindi la traccia che dà titolo all’opera, sorretta da propulsione ritmica di matrice antillana e sviluppata in un ipnotico tema corale, prima di deragliare sotto l’impeto dell’improvvisazione: premessa coerente alla solennità “free” che introduce la successiva “Our Land Back”, animata dalla poetica blues di Moor Mother, infervorata dall’ardore politico. Recitano i versi: “Chi sa cos’è accaduto in South Carolina, a New York, in Palestina, in Iran? (…) In Etiopia, in Nigeria, nel cosiddetto Medio Oriente? (…) Se non altro stiamo cominciando a ricordare le storie”.
Gli episodi centrali sono i più estesi del lotto, entrambi oltre la soglia del quarto d’ora: “Soundness” vibra di anarchica euforia sonora e apre la strada a un torrenziale flusso verbale in cui Ayewa cita persino Walt Whitman (“Conteniamo moltitudini”), mentre “root⇔branch” rende omaggio alla collega e amica Jaimie Branch con voce sommessa e fiati dolenti, sbocciando poi in una solare apologia della libertà (“Tutti possiamo essere liberi, liberiamoci, volare o morire”).
Ecco, a proposito, Lester St. Louis – proveniente dai Fly Or Die della trombettista scomparsa – mettere il proprio violoncello al servizio di “Degrees of Freedom”, imponente epilogo che riecheggia la foga di “Open the Gates”, ouverture dell’omonimo lavoro del 2021 (“Entriamo subito in azione, fuori dal cancello, sfondiamo la porta”), e culmina in un’esplicita presa di (auto)coscienza (“La consapevolezza del dolore è il primo passo verso la giustizia”).
Altri ospiti figurano nel precedente “Sunshine” accanto ai cinque titolari (intorno a Moor Mother, il batterista Tcheser Holmes, Aquiles Navarro alla tromba, il sassofonista Keir Neuringer e Luke Stewart al contrabbasso): la pianista Janice A. Lowe e, al microfono, Sovei imbastiscono la trama astratta di una ballata che sfocia nell’orbita visionaria disegnata dalle svisate di un sintetizzatore. “Il sole splende nei nostri occhi”, proclama l’incipit di quest’ultima: è l’istantanea del persistente stato di grazia degli Irreversible Entanglements.