La danza jazz di Kamasi Washington

Fearless Movement è l’album “con i piedi per terra” del sassofonista californiano

Kamasi Washington
Disco
jazz
Kamasi Washington
Fearless Movement
Young
2024

Girava voce da qualche mese che l’imminente ritorno discografico di Kamasi Washington avrebbe avuto accenti “dance”, benché l’interessato avesse precisato di non intendere il vocabolo “in senso letterale”, manifestando piuttosto l’intenzione di “esprimere il proprio spirito attraverso il corpo”.

Da cui il “movimento impavido” menzionato nell’intestazione, effetto immediato del quale è lo snellimento della taglia: appena – si fa per dire… – 86 minuti, rispetto alla stazza “massimalista” dei predecessori The Epic (2015) e Heaven and Earth (2018), situati entrambi in prossimità delle tre ore.

All’ascolto, poi, si percepisce il maggiore peso specifico attribuito alla componente ritmica: non tanto nella versione del classico “electro” degli Zapp “Computer Love”, narcotizzato e umanizzato fino alle soglie dell’R&B, quanto nella postura “funkadelica” di “Get Lit”, garantita personalmente dal Grande Maestro del genere George Clinton.

A rafforzare il primato del ritmo provvede in quel caso il flow di D Smoke, riconnettendo il protagonista alla sfera dell’hip hop frequentata agli esordi e simboleggiata dal contributo dato alla creazione del monumentale To Pimp a Butterfly di Kendrick Lamar.

Altri rapper – i gemelli Ras e Taj Austin del quartetto Coast Contra – compaiono in “Asha the First”, che prende nome dalla figlia piccina del titolare, autrice in tenerissima età al pianoforte della frase melodica su cui il brano è stato costruito. Fa inoltre capolino in copertina accanto al babbo, il quale indossa abiti disegnati dalla nipote Korynn, modella e stilista, davanti al fondale di un’opera figurativa della sorella Amani, mentre al fratello Sol è spettato l’editing della foto e in tre episodi si destreggia al flauto il padre Rickey.

Un family affair alla Sly Stone, insomma: principio identitario confermato dalla composizione della platea di strumentisti, il cui nucleo costitutivo rimane il collettivo West Coast Get Down, aggregatosi intorno a lui agli sgoccioli del Novecento.

In questo habitat rassicurante Kamasi Washington ha lasciato scorrazzare la sua immaginazione, ottenendo risultati stupefacenti, come accade ad esempio in “Dream State”, che realizza la programmatica ambientazione onirica mescolando a una pulsazione elettronica il flauto levitante di André 3000.

Qui si apprezza particolarmente l’ingrediente principale della messinscena, ossia il sax tenore – nella circostanza alternato eccezionalmente all’alto – manovrato dal capobanda, che non sfugge all’ascendente astrale di Coltrane, evidente nella sezione strumentale di “The Garden Path”, intercalata a un mantra corale che sa di ammonimento: “Menti luminose dagli occhi scuri pronunciano parole altisonanti, raccontano dolci bugie”.

La tensione dell’attualità trapela anche da “Lines in the Sand”: “Le linee nella sabbia ci allontanano dal sogno”, intonano le voci nel refrain dal sapore soul denunciando gli effetti nocivi dei processi di polarizzazione. Enigmatici, viceversa, i versi introduttivi – pronunciati in Ge’ez, lingua semitica parlata nell’antica Etiopia – dell’ouverture “Lesanu”, che prosegue anglofona esortando a “cantare una nuova canzone al Signore”, prima di scatenarsi in uno swing impetuoso. E tuttavia il “prologo” sta in coda: si tratta della sorprendente cover di uno standard di Astor Piazzolla – “Prologue”, appunto, altrimenti detto “Tango Apasionado” – reso dinamico nella cadenza e contemporaneo nell’arrangiamento, generando dal sassofono un ectoplasma di Gato Barbieri.

Replicando solo occasionalmente l’enfasi orchestrale dei lavori precedenti, con solennità mistica in “Interstellar Peace” e nell’architettura complessa dell’estesa “Road to Self”, questa volta Kamasi Washington si è sforzato di tenere i piedi per terra.

Sarà interessante vedere che forma prenderà Fearless Movement dal vivo, allora: da noi in autunno, il 3 ottobre a Roma, il 4 a Milano e il primo novembre a Bologna.

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

jazz

Mulatu Astatke, il custode dell’Ethio-jazz

Mulatu Astatke ritorna con Tension, il risultato della sua collaborazione con l'israeliana Hoodna Orchestra

Ennio Bruno
jazz

Fresu, una specie di Miles

Kind of Miles è l'omaggio di Paolo Fresu a Miles Davis, ora in disco

Guido Festinese
jazz

Il post jazz secondo Anna Butterss

Mighty Vertebrate è il nuovo album della bassista e compositrice australiana

Alberto Campo